Perché Berlusconi non ha voluto accettare Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica?

Nella foto Silvio Berlusconi, ex Presidente del Consiglio, presidente di Mediaset, A.C. Milan, Mondadori...

Nella foto Silvio Berlusconi, ex Presidente del Consiglio, presidente di Mediaset, A.C. Milan, Mondadori…

Silvio Berlusconi ha più volte affermato che di Mattarella contesta il metodo (di elezione) ma non la persona: chiare ragioni storiche confermano, invece, che l’ex premier contesta, in primo luogo, la persona del nuovo presidente della Repubblica.
Mattarella al contrario non nutre un’antipatia “tecnica” verso Berlusconi, ma quasi personale: un esempio classico è la telefonata intercorsa ieri tra i due (e qui sotto trascritta) ove Mattarella risponde in modo stringato.

S.B. “Caro Mattarella, vorrei solo dirle che non ho nulla nei suoi confronti, davvero non c’è niente di personale… e lasciamo stare, mi creda, anche certe storie, quelleo che accadde tra noi tanti anni fa ai tempi della legge Mammì. Purtroppo noi non possiamo tollerare certi metodi del premier Renzi… l’idea dell’imposizione, del non condividere, ecco, questo ci crea dei conseguenti gravi problemi politici”.
S.M. “Sì, capisco…”
S.B. “Però guardi: per dimostrarle rispetto, lei è persona di alto profilo degnissima, le prometto che noi non faremo, in sede di voto, il nome di un altro candidato. Noi: o voteremo scheda bianca o usciremo dall’Aula.

La prima occasione fu la discussione sulla “Legge Mammì”.
Bettino Craxi volle allargare gli spazi televisivi ai privati, in particolare al suo amico Silvio Berlusconi: già nel 1984, una minaccia di oscuramento dei canali Fininvest, aveva portato Craxi a votare tre decreti legge che “salvarono” il futuro premier, seppur uno di essi non sia stato accettato dalla Corte Costituzionale.
Una legge vera e propria fu votata nell’estate del 1990, dall’allora ministro delle telecomunicazioni del sesto governo Andreotti: il repubblicano, Oscar Mammì.
Essa fu promulgata in concomitanza alla legislazione comunitaria, che chiedeva una legge generale sul sistema televisivo.
La legge si divideva in cinque titoli e quarantuno articoli, di cui qui sotto, si leggono i primi due, fondamentali:

  • Nell’articolo 1 si stabilisce che la diffusione di programmi radiofonici o televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente interesse generale.
  • Nell’articolo 2 si fa esplicito riferimento al pluralismo dell’informazione, il quale è considerato il principio più importante nei mezzi di comunicazione di massa:
    – Pluralismo interno: l’espressione apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose è un richiamo a una sentenza n. 826 del 1988 della Corte Costitutzionale della Repubblica Italiana cui si definisce il pluralismo come la concreta possibilità di scelta tra programmi che garantiscano l’espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei (pluralismo dell’informazione)
    – Pluralismo esterno: corrisponde alla possibilità d’ingresso nel mercato di diversi players (dall’ inglese giocatori, intesi come partecipanti). Per la legge esso si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati (pluralismo degli operatori o emittenti). Il pluralismo esterno ha i suoi fondamenti costituzionali negli articoli 21 e 41 della Costituzione, ossia nella libertà di manifestazione del pensiero e nella libertà di iniziativa economica. La Corte Costituzionale, sempre nella sentenza n. 826/88, fornisce questa definizione: possibilità di ingresso, nell’ambito dell’emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell’emittenza privata che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o pochi.

In realtà numerose furono le polemiche: si affermò che la direttiva europea voleva accentuare altri “nodi” legati al sistema televisivo, ben diversi da una mera tutela alle aziende di Berlusconi.
L’approvazione forzata di questa legge provocò le immediate dimissioni dei ministri della sinistra democristiana dal governo: Mino Martinazzoli, Riccardo Misasi, Calogero Mannino, Carlo Francanzani e l’attuale capo di stato, Sergio Mattarella (che dichiarò laconicamente, che la legge non era in direttiva con le volontà europee).
Giulio Andreotti, strettamente legato a Bettino Craxi, evitò una sicura crisi di governo, sostituendo immediatamente i ministri dimissionari.
Tra le voci in disaccordo sulla “Legge Mammì” ce ne fu una oggi ben più accomodante (di là di un rapporto spesso critico) nei confronti dell’ex cavaliere: Vittorio Feltri.
Il giornalista scrisse un articolo severo nel 1990, a seguito della legge appena approvata:

«Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l’altro la perla denominata ‘decreto Berlusconi’, cioè la scappatoia che consente all’intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna».
(Vittorio Feltri, L’Europeo del 11 agosto 1990)

Un secondo attacco a Berlusconi, lanciato da Mattarella, avvenne nel 1995.
Allora militante nel Partito Popolare Italiano (il soggetto politico nato dopo la Dc), avversò la linea di Rocco Buttiglione, molto vicina al centro destra, attraverso un appellativo ben lontano dalla moderatezza tanto decantata in queste ore: “el general golpista Roquito Buttillone” (sembra che addirittura, l’attuale presidente, abbia dato del “fascista” al suo ex compagno di partita).
Lo stesso Buttiglione oggi ha ricordato che Mattarella era “era virulentemente contrario” a Berlusconi.
Non è un caso che pochi giorni dopo, definì addirittura “un incubo irrazionale” l’entrata di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo.

Le reazioni di Mattarella alla figura politica e imprenditoriale di Silvio Berlusconi, sembrano ben lontane da un’antipatia di principio: l’ex premier lo sa e forse per questo non accetta il nuovo capo di Stato.

Rey Brembilla

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