Brasile-Germania uno a sette e altre tragiche sconfitte della nazionale brasiliana ai mondiali di calcio: morte, pianto e disperazione

La nazionale brasiliana 2014

La nazionale brasiliana 2014

Il campionato mondiale di calcio in Brasile è finalmente finito e la squadra di casa ha subito un’incredibile disfatta in semifinale, venendo sconfitta dalla Germania per sette a uno.
In Brasile vi sono stati scontri e rapine ma, per fortuna, nulla di paragonabile a quello che successe nelle clamorose sconfitte precedenti.

Gli ultimi mondiali in terra brasiliana, nel lontano 1950, videro il clamoroso episodio del “Maracanzao” ove l’Uruguay vinse il trofeo a spese della squadra di casa: lo smacco fu ancor più bruciante, considerando il precedente episodio, antecedente al secondo conflitto mondiale.
L’edizione precedente, nel 1938, si giocò in Francia e vide il favorito Brasile: il team sudamericano si ritrovò in semifinale con i campioni in carica italiani.
Il Brasile era talmente sicuro di vincere che aveva già acquistato i biglietti aerei per la finale e teneva il suo fuoriclasse (Leonidas) in panchina per riservarlo per la partita successiva: l’Italia vinse clamorosamente due a uno e passò, vincendo poi il secondo trofeo consecutivo.

Il Brasile era sicuro che l’edizione giocata in casa (1950), sarebbe toccata a lui.
Un regolamento tuttora unico nel suo genere, prescriveva che dopo i primi gironi eliminatori (per altro funestati da numerosi forfait) vi fosse un girone finale di quattro squadre per decretare la vincitrice.
La penultima gara decisiva fu contro il forte Uruguay e il Brasile la considerava una formalità, avendo stra-vinto le partite precedenti (al contrario della “celeste” che aveva faticato): bastava un pareggio e i brasiliani già festeggiavano per le strade, pubblicando titoli festosi sui giornali.
Clamorosamente l’Uruguay vinse due a uno, essendo primo nel girone finale e quindi vincendo il campionato del mondo.

Un silenzio glaciale cadde sul Maracanà: almeno dieci morti tra gli spettatori (decine di persone colte d’infarto e addirittura due suicidi lanciatasi dagli spalti), anche a causa del forte giro di scommesse in atto.
Era prevista una pomposa cerimonia di premiazione: la guardia d’onore, le più importanti autorità brasiliane e l’ideatore del torneo, Jules Rimet, che (dopo un discorso già preparato in portoghese) avrebbe consegnato ventidue medaglie d’oro ai giocatori.
La realtà fu ben diversa: la guardi d’onore e le autorità fuggirono e il solo Rimet consegnò la coppa alla nazionale vincente, che dovette rapidamente tornare in patria (il fuoriclasse vincente Alcide Ghiggia fu addirittura picchiato e costretto alle stampelle) senza neppure ascoltare il proprio inno.

In Brasile la sconfitta fu una vera e propria tragedia nazionale: trentaquattro suicidi, trentasei decessi per infarto, il telecronista decise di abbandonare il mestiere e il terzino Danilo entrò in depressione, tentando il suicidio.
La stampa brasiliana si scagliò pesantemente sul commissario tecnico, sulla maglia della nazionale (!) e sul portiere: il primo dovette fuggire e rifugiarsi in Portogallo (salvò poi tornare cinque anni dopo, sulla panchina verde-oro), la maglia fu cambia di colore (in origine era bianca) e il portiere Barbosa fu additato dalla gente in strada come maggiore colpevole della sconfitta (accusò una forte depressione, poiché per la vita intera non gli fu perdonato il suo errore).
Testimonianza dell’incredibile clima di quel tempo, furono le frasi dei protagonisti.

Jules Rimet ricordò così il momento della premiazione: «Era tutto previsto, tranne il trionfo dell’Uruguay. Al termine della partita, avrei dovuto consegnare la coppa al capitano della squadra campione. Un’imponente guardia d’onore si sarebbe dovuta formare dal tunnel fino al centro del campo di gioco, dove mi avrebbe atteso il capitano della squadra vincitrice (naturalmente il Brasile). Preparai il mio discorso e mi recai presso gli spogliatoi pochi minuti prima della fine della partita (stavano pareggiando 1 a 1 e il pareggio assegnava il titolo alla squadra locale). Ma mentre attraversavo i corridoi il tifo infernale si interruppe. All’uscita del tunnel, un silenzio desolante dominava lo stadio. Né guardia d’onore, né inno nazionale, né discorso, né premiazione solenne. Mi ritrovai solo, con la coppa in mano e senza sapere cosa fare. Nel tumulto finii per scoprire il capitano uruguaiano, Obdulio Varela, e quasi di nascosto gli consegnai la statuetta d’oro, stringendogli la mano, e me ne andai, senza riuscire a dirgli una sola parola di congratulazioni per la sua squadra».

I campioni uruguaiani, seppur felici, subirono anche loro, il peso psicologico ed eloquenti sono le frasi di Juan Alberto Schiaffino: “«Sciogliemmo l’angoscia che ci aveva accompagnato per tutta la partita, piangendo lacrime di gioia, pensando alle nostre famiglie in Uruguay, mentre i nostri avversari piangevano di amarezza per la sconfitta. A un certo punto provai pena per quello che stava accadendo».
Alcide Ghiggia (autore del goal decisivo) al contrario mostrò beffarda ironia: «A sole tre persone è bastato un gesto per far tacere il Maracanã: Frank Sinatra, papa Giovanni Paolo II e io».

Trentadue anni dopo, ai campionati mondiali di Spagna nel 1982, un episodio simile si ripetè quasi nelle stesse circostanze (curiosamente simili ai ricordi del 1938 e del 1950).
Questa volta i mondiali erano in terra spagnola e non brasiliana (come in Francia nel 1938) ma la nazionale sudamericana era fortissima, probabilmente la più valida di tutti i tempi: passò agevolmente il primo girone e dopo una facile vittoria sull’Argentina (i campioni del mondo in carica), gli toccò l’Italia (il regolamento prevedeva un piccolo girone a tre, successivo al primo a quattro).
Gli azzurri erano apparsi spenti nel girone iniziale e bastava un pareggio ai verde-oro per approdare in semifinale: la combattutissima partita finì invece tre a due a favore dell’Italia, il Brasile rimontò più volte i goals di Paolo Rossi, ma infine dovette clamorosamente arrendersi.

L’episodio passò alla storia come “la tragedia del Sarrià “ (dal nome dello stadio che fu teatro dell’evento) e tale fu la conseguenza in Brasile.
Di nuovo si scatenarono suicidi, infarti, atti vandalici e a San Paolo addirittura avvenne un omicidio, un brasiliano uccise un suo connazionale a seguito di una discussione post-partita.
Seguendo l’esempio dei mondiali 1950, fu accusato l’allenatore Telè Santana (fautore di un gioco troppo offensivo, secondo la stampa brasiliana) e il portiere Valdir Peres, considerato scarso (e mai più convocato in nazionale).
Similmente ai mondiali del 1938 (sempre vinti dall’Italia), il Brasile aveva già prenotato l’albergo per la partita successiva (la semifinale).
I brasiliani accusarono gli azzurri di avergli “rovinato” il gioco, costringendoli ad abbandonare per sempre il “calcio ballato” per una tecnica meno leziosa.

Rey Brembilla

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