Ad esempio a noi piace Rino

Una celebre fotografia del cantautore

L’audacia dirompente di Gianna, la sfrontatezza avventata di Nun te reggae più, la melodia trascinante di Ma il cielo è sempre più blu. Tutto questo – e molto altro – è Rino Gaetano, cantautore dell’irriverenza, personaggio di rottura, uomo ribelle alla bigotta morigeratezza di costumi di un’Italia che negli anni Settanta ancora faticava ad affrancarsi da quell’etichetta di puritano conformismo che metteva un freno alla – tanto agognata? – liberazione culturale.

Quella malcelata ipocrisia Rino l’ha smascherata con la sua voce calda, matura come i fichi d’India che fioriscono nelle torride estati meridionali; lui, con i suoi modi franchi e diretti, figlio di quel profondo Sud che ancora conserva un’anima autentica, luminosa e genuina, dai sapori autentici e dalle tinte accese, ha saputo cantare l’emancipazione socio-politica di una terra che arrancava zoppicante dietro ai movimenti progressisti d’oltralpe e d’oltreoceano. Nato a Crotone (1950) all’indomani del Dopoguerra, forse approfittando della spinta propulsiva del boom economico degli anni Sessanta, che in un decennio felice ha completamente ridisegnato le geometrie dell’Italia post-bellica, Rino ha risalito l’Italia dalla punta dello stivale fino alle sue viscere più animate, arrivando a poco meno di trent’anni a esibirsi su uno dei palcoscenici più ambiti della musica italiana: Sanremo. Trasferitosi a Roma insieme alla famiglia all’età di dieci anni, Rino cresce alla luce di quei fermenti culturali e economici che animavano la vita della capitale; è qui che probabilmente si forma quelle idee originali e anticonformiste che poi troveranno spazio nei testi delle sue canzoni, caratterizzata da un’ironia troppo raffinata per essere capita e apprezzata da un pubblico abituato a canzoni dallo stucchevole romanticismo, che alla musica chiede poco più che uno svago momentaneo, un’occasione di fuga da una realtà mediocre o insoddisfacente.

Tra canzonette e canzonacce, Rino Gaetano si impone come cantautore di successo, nonostante le innumerevoli critiche rivolte non si sa se più ai suoi testi irriverenti o ai suoi modi di fare – e di dire cantando – senza troppe cerimonie, ma certamente germogliate dall’invidia – e dalla paura – che l’opinione pubblica nutriva nei confronti di un personaggio scomodo, che metteva in ridicolo piccolezze e meschinità dell’uomo medio, riusciva a smantellare con lucido sarcasmo sciocchi pregiudizi politici e antiquati costumi culturali, e soprattutto sapeva come correre dietro – e in alcuni casi davanti – ai tempi che stavano cambiando. Tanto che la sua produzione musicale – purtroppo stroncata dalla sua prematura morte – è ancora oggi di un’attualità sconcertante, con due conclusioni possibili: o che in Italia più niente è cambiato, o che Rino fu davvero un profeta della società, un chiaroveggente della musica, un Messia della canzone italiana, quella socialmente impegnata, come già allora se ne ascoltava poca, e oggi se ne ascolta sempre meno – purtroppo.

Chissà quali testi sferzanti ci avrebbe riservato oggi quel suo talento esplosivo e anticonformista. Ma la vita dei grandi, si sa, non dura mai troppo a lungo, e anche Rino Gaetano è passato come una cometa nel firmamento della musica italiana, brillante al punto da accecare i benpensanti, forse troppo vicina alla Terra per restare inosservata – e impunita. La morte ha spento la sua stella a poco più di trent’anni (1981), con una carriera appena iniziata e una vita ancora davanti, e in un modo quantomeno inusuale: in una data importante per l’Italia recentemente democratica (2 Giugno), la macchina di Rino si schiantava nottetempo contro un camion sulla Nomentana. Il cantautore morì dopo essere stato rifiutato da ben cinque ospedali, come – assurda coincidenza? – lo sfortunato protagonista di una sua nota canzone, La ballata di Renzo.

Che Rino fosse davvero un profeta, capace addirittura di prevedere le circostanze della propria morte? Molti, nonostante l’indiscussa lungimiranza del suo sguardo indagatore e acuto, non lo ritengono possibile, e preferiscono sposare le tesi cospirazioniste che parlano di esecuzione mirata di un personaggio scomodo, politically scorrect. Ma quelli che lo amarono davvero continuano semplicemente a tenerne viva la memoria, ascoltando le sue canzoni e soprattutto diffondendole, apostoli di un Vangelo monco che si danno da fare affinché il messaggio, inviato da Rino attraverso la sua musica, non vada perduto.

Giuliana Gugliotti

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