Ruby, l’apologia dell’incubo arrivista

Karima El Mahroug, alias Ruby Rubacuori

Karima El Mahroug, alias Ruby Rubacuori

Dare una svolta alla propria vita, uscire da un anonimato che è peggio della povertà, diventare famose, “arrivare”. Non importa dove. Basta che sia in alto, molto in alto. All’ultimo piano di un lussuoso palazzo in centro storico, in un superattico intestato come regalo per i 18 anni, o nelle grazie di un ricco magnate, non importa quanto sia brutto e quanto sia vecchio. Garantirsi ricchezza, benessere, quell’agiatezza che i genitori non avrebbero mai potuto offrire. Non importa come.

Il sogno di Ruby non sembra troppo diverso da quello di tante altre ragazze comuni. C’è chi sogna l’amore, chi il potere. Ruby sognava la ricchezza. E la notorietà. “Vittima di un sogno italiano negativo” l’ha chiamata la pm Boccassini durante la rogatoria di questa mattina che darà avvio all’ultima fase del processo Ruby/Berlusconi, che vede l’ex premier imputato per prostituzione minorile e concussione aggravata. Così Ruby appare come una gigantesca, succosa mosca rimasta impigliata – un po’ per avventatezza, un po’ per scelta – nella fitta ragnatela intessuta da una “famiglia” ben organizzata di tarantole: Nicole Minetti, Emilio Fede, Lele Mora. Tutti impegnati a tirare fili e catturare prede per “il piacere di Silvio”, il capo-tarantola appollaiato al centro della tela in attesa che le vittime gli vengano consegnate direttamente a domicilio, pronto a elargire in cambio laute ricompense pecuniarie.

Sarà per sfatare questa immagine che ieri sera a “La guerra dei 20 anni” su Canale 5, teatro dell’auto-assoluzione di mister B., è andato in onda un mini-reportage sulle stanze della villa di Arcore. Per rassicurare lo spettatore che non c’è niente di strano in quelle sale, nessuna “stanza rossa delle torture” destinata a giochi erotici illegali. Nessuna ragnatela, nessuna vittima legata nel seminterrato. Insomma niente da nascondere. In questa versione dei fatti propugnata ieri dalla rete di punta Mediaset Berlusconi appare un sollecito benefattore, spinto dalla compassione nei confronti di una giovane dal passato oscuro, vittima del paternalismo di una famiglia all’antica, di un paese censorio e di una religione castrante che non le permettono di inseguire il suo sogno: la carriera di modella, l’ingresso nel mondo della moda.

“Mai a letto con Ruby, poteva ispirare solo compassione”.

Una versione confermata dalla stessa Karima El Mahroug: “Sono arrivata a Milano per rendere reale il mio sogno: entrare nel mondo della moda. Ho fatto un concorso di bellezza: in giuria c’era Emilio Fede. Sono scappata dalla Sicilia verso il Nord per costruirmi una vita che ho riarrangiato con una serie di bugie, come quella di essere figlia di Mubarak. Ad ognuno davo una versione diversa perché temevo si approfittassero di me. Volevo una vita diversa. Darmi un tono”. Ruby si racconta così in tv, sfatando il mito della prostituta senza scrupoli. Una ragazza acqua e sapone, colpevole soltanto di aver sognato troppo in grande, di aver guardato lontano e di essere nata nella parte sbagliata del mondo.

Non dello stesso avviso però la pm Ilda Boccaccini, che, alla luce dei fatti, non esita a confermare l’altra versione, quella dei “malpensanti”, secondo la quale Ruby si prostituiva e Berlusconi sapeva che la ragazza era minorenne. Così come lo sapevano Nicole Minetti, che da via Olgettina gestiva il traffico delle ragazze, e Lele Mora, che usava il suo potere da talent scout per farsi pagare i debiti da Berlusconi ed evitare il fallimento.

Un quadro a tinte fosche quello che emerge dalla ricostruzione del pm, che suscita indignazione, vergogna, ribrezzo. Ma soprattutto, per usare le parole di Berlusconi, compassione.

Nella società dell’apparire nuovi valori hanno preso il posto di quelli vecchi: il principe azzurro diventa l’uomo nero a cui concedersi in cambio di denaro, la ragazza povera e illibata si toglie l’abito bianco della purezza e indossa quello rosso da seduttrice senza scrupoli. Gli obiettivi a cui aspirare non sono più l’amore, la condivisione, il rispetto reciproco, ma il consumo sfrenato, il potere, la fama.

L’individualità auto-celebrativa non lascia spazio all’alterità. L’Io si ingigantisce al punto da ingoiare il tu. L’altro è solo uno strumento per raggiungere i propri scopi. Karima El Mahroug, ha ragione la pm, è solo un’altra vittima di un sogno perverso che in realtà è un incubo nascosto dietro lo sfavillio delle luci e degli strass. Vittima di se stessa, vittima di Ruby: l’identità che si è creata per rispondere alle esigenze di quest’incubo arrivista.

Quante altre Ruby ci sono?

G.G

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