Mario Balotelli in copertina su Time

Mario Balotelli sulla copertina di Time

In campo, con un pallone tra i piedi, e fuori dal terreno di gioco, con le sue folli avventure e innumerevoli gossip, Mario Balotelli riesce sempre, nel bene o nel male, a far parlare di sé. Un personaggio unico e anticonvenzionale e di indiscusso talento calcistico scelto come  uomo-copertina del prossimo numero della prestigiosa rivista Time. “The meaning of Mario”: questo il titolo della cover dell’edizione europea che ritrae l’attaccante del Manchester City e della nazionale italiana Mario di profilo e con un sottotitolo d’effetto: “Ciò che il fenomeno Balotelli dice del calcio, della razza e dell’identità europea”.  Nella lunga intervista concessa a Catherine Mayer e Stephan Faris, che lo hanno definito “infinitamente affascinante, non solo come sportivo, ma anche personaggio”. Un uomo “sorprendentemente timido”, “più perspicace e intelligente di quanto possa sembrare osservando la sua sfacciata immagine pubblica”, il calciatore di origine ghanese si racconta a tutto tondo tra sport, politica e vita privata dimostrando di essere tutt’altro che il “bad boy” spesso dipinto dai giornali.

Parlando di sé e del rapporto coi genitori adottivi è inevitabile un accenno alla sua imminente paternità.  «Mio figlio avra’ bisogno di una madre capace di dire di no, perche’ io lo amero’ cosi’ tanto che forse non saro’ in grado di dirglielo» Super Mario dice a proposito del bambino che aspetta dalla compagna Raffaella Fico; con Balotelli viene poi affrontato il tema del razzismo e del multiculturalismo: «Il razzismo e’ cominciato soltanto quando ho iniziato a giocare a pallone – sottolinea il giocatore -. Quando non ero famoso avevo tanti amici».  Spazio anche alla politica ed alle elezioni americane: «E’ stato bello vedere un uomo di colore a capo della prima superpotenza mondiale. Spero di incontrare Obama».

E sul calcio dice: «Non voglio essere un modello, voglio solo giocare». Infine un accenno a come riesce a mantenersi infallibile dal dischetto del rigore: «E’ come un gioco psicologico tra il portiere e me, quando si muove prima di me ha perso», risponde il ragazzo che ha il 100% di realizzazione.

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