L’Inter passa da Moratti al magnate indonesiano Thohir: la fine di un’epoca

Erick Thohir, magnate indonesiano intenzionato a comprare la quota di maggioranza dell'Inter

Erick Thohir, magnate indonesiano intenzionato a comprare la quota di maggioranza dell’Inter

Le maglie della nazionale indonesiana sono molto belle, rosse con strisce sfumate scure, peccato che quasi nessuno ha la possibilità di vederle in azione: l’Indonesia è difatti dal 1938 che non si qualifica più ai mondiali di calcio, si chiamava ancora “Indie Olandesi” ed era una colonia.
L’unico risultato rilievo è una medaglia di bronzo ai giochi asiatici di Tokyo nel 1958 e alle olimpiadi di Melbourne del 1956, dove fu eliminata dalla futura vincente Unione Sovietica.
Si è qualificata quattro volte alla Coppa d’Asia ma senza mai passare la fase a gironi.
La nazionale degli Stati Uniti è sicuramente più celebre, ma in nove partecipazioni mondiali ha conquistato un lontano terzo posto nel 1930 ed uno scontato passaggio del turno nel 1994, quando ha organizzato il mondiale.

Nonostante questo, la Roma e l’Inter, sono le prime squadre italiane ad avere presidenti stranieri, rispettivamente americani e indonesiani.
Ad Erick Thohir andrà probabilmente il 70% delle azioni e alla famiglia Moratti resterà una quota di minoranza.
Chi è Erick Thoihr? E’ un “Berlusconi indonesiano”, giovanissimo (quarant’anni appena) proprietario di televisioni, giornali e radio: è appassionato di sport e possiede tre squadre di basket (due in Indonesia e una negli Stati Uniti) e una squadra di calcio, sempre negli Stati Uniti.

Immaginando che difficilmente un indonesiano o un americano avranno mai la conoscenza calcistica sufficiente per imbastire una squadra competitiva, è comprensibile che la motivazione della scelta è puramente economica: probabilmente le squadre vinceranno perché potranno comprare grandi campioni (anche se la Roma solo ora, dopo tre anni, sembra raccogliere i primi frutti) ma la dirigenza avrà un carattere anonimo, gestita materialmente dal un “blind trust” (come Walter Sabatini nei confronti di Thomas Di Benedetto o James Pallotta).

Tramontano quindi i caratteristici presidenti dei tempi andati.

Una spia del cambiamento si notava osservando uomini come Luciano Gaucci o Maurizio Zamparini, rispettivamente presidente di più squadre in contemporanea (Perugia, Viterbese e Sambenedettese) e presidente di diverse squadre nella sua carriera.
Un caso particolare è quello d’Enrico Preziosi, Aurelio De Laurentis o Massimo Mezzaroma (tanto per fare dei nomi), che sono a capo di squadre non della loro città: quasi come un investimento più che una passione cittadina.

Colpisce soprattutto che proprio l’Inter e la Roma passano la mano ad uno straniero: due squadre i cui dirigenti hanno sempre avuto le “stigmate” della loro città, “bauscia” o “ de roma” che siano; la Roma ha avuto in passato dirigenti pericolosamente mischiati con la politica ma sempre ed esclusivamente romani.

Il Presidente vecchio stampo è quello che da anima e corpo alla squadra, magari arrivando a toni eccessivi ma anche simpatici: Adriano Galliani (memorabili sono le sue espressioni allo stadio), Gianni Agnelli (di cui si ricordano i soprannomi ironici ai giocatori ed il vizio di svegliarli per telefono alle sei del mattino), Rosella Sensi (che canta i cori della Roma come una qualsiasi tifosa), Romeo Anconetani (che lanciava il sale sul campo di calcio del Pisa), l’euforia di Costantino Rozzi, i soldi spesi di Massimo Moratti, gli strafalcioni d’Angelo Massimino (celebre la risposta ad un giornalista che affermava che al Catania mancava l’amalgama, Massimino incuriosito rispose dove poteva trovare un giocatore dal nome così strano), le scaramanzie d’Achille Lauro ( che palpava il fondoschiena ai giocatori del Napoli che entravano in campo e acquistava Canè, sperando che in quanto nero spaventasse i giocatori avversari) e la gran paternalità di Paolo Mantovani.

Entro pochi anni la globalizzazione avanzerà come in altri campi e spazzerà via queste figure folcloristiche.

Una personalità che può essere eletta simbolo di un certo tipo di presidente, è Renato Dall’Ara, a capo del Bologna dal 1933 al 1964.
Questa gran personalità vinse, dal 1935 al 1941, ben quattro scudetti: un record facilmente imitabile per la squadra rosso-blù.
Nel 1964 il Bologna vinse il suo ultimo scudetto dopo una lotta acerrima con l’Inter di Herrera ed uno spareggio finale (per la prima e per ora unica volta in un campionato di calcio italiano): la stagione fu funestata da un’accusa di doping, di cui, però il Bologna fu totalmente scagionato.
Dall’Ara probabilmente anziano e già provato fisicamente (il campionato, lo spareggio e il doping) ebbe un infarto fulminante alla sede della Lega Calcio e non riuscì neppure a vedere la sua squadra vincente.
Bologna giustamente gli ha dedicato lo stadio ed è forse giusto dedicargli un’epoca che probabilmente tra qualche anno non esisterà più.

Rey Brembilla

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