Lavezzi al PSG, l’incoerenza di De Laurentiis e la storia finita o forse mai iniziata del progetto Napoli

Il pocho Lavezzi con la nuova maglia del Paris Saint Germain

Ci sono momenti nella vita di un giornalista in cui la penna scrive da sola, scivola veloce sul foglio senza indugi per esprimere ciò che si pensa. Ricordi, malinconia, vittorie e sconfitte il tutto riassunto in una storia di un ragazzo col sorriso da fanciullo, col corpo tatuato e col piede fatato. Stiamo parlando di lui Ezequiel Ivan Lavezzi. Non sono i dati sulla sua cessione che verranno presi in esame, perché i dettagli son cosa nota, bensì si cercherà di analizzare il percorso del Napoli in questi anni, il perché di questa cessione, cosa è successo davvero e quali sono le reali aspirazioni di De Laurentiis. Era una calda estate del 2007 quella in cui un ragazzo coi capelli lunghi ed in sovrappeso veniva presentato fieramente dall’allora DG Pierpaolo Marino. Tutti storsero il naso di fronte ad un giocatore che dall’aspetto non era propriamente l’immagine del fuoriclasse che quel Napoli, appena tornato in serie A, sognava. Ma allenamento dopo allenamento el Loco smentì tutti. Edy Reja lo guardava in allenamento e si sorprendeva giorno dopo giorno, e il suo esordio in Coppa Italia (con tripletta) contro il Pisa, mise tutti a tacere. Lavezzi era il nuovo re di Napoli. Il suo percorso a Napoli faceva presagire ad una società che volesse crescere e diventare grande insieme ai propri calciatori, il famoso “progetto in progress” tanto decantato dal presidente romano originario di Torre Annunziata. E il pocho, insieme ad Hamsik, Gargano, Maggio e Cavani poi, cresceva e con loro la squadra partenopea. Qualificazione in Europa League prima, posizionamento in Champions’ poi e infine vittoria della Coppa Italia.

Questo Napoli faceva sul serio. E allora perché? Perché il Pocho via? Le intenzioni (?) della società erano chiare: non vendere mai i propri gioielli, ma acquistare anno dopo anno campioni in nuce da far crescere ed aggiungere ai campioni che già c’erano in modo tale da rendere la crescita costante e continua. Ma di fatto di giovani e di progetti, da quando è andato via Pierpaolo Marino, non se ne sono più visti. Da quando è arrivato Bigon, si è puntualmente sconfessata tutta la campagna acquisti dell’anno precedente: Quagliarella, Hoffer, Sosa, Yebda, Ruiz, Dumitru, Cribari. Ed a questi molto probabilmente si aggiungeranno: Fideleff, Vargas, Chavez. Il dubbio serio sulle capacità di Bigon come DS rispetto ad una grande piazza come Napoli nasce spontaneo.

Anche se, analizzando i fatti, sembra che, più che il figlio dell’ex mister Albertino, il responsabile di tutto ciò sia proprio il presidente De Laurentiis che ha fatto dell’incoerenza il suo percorso a Napoli. “Voglio un Napoli di napoletani” – Per poi dire “Non voglio napoletani in squadra”; “Ventura sarebbe stato licenziato anche in caso di vittoria perché mancava il gioco” – Per poi dire cinque minuti dopo in presenza di Edy Reja “Ma quale bel gioco e bel gioco? Bisogna vincere, anche uno a zero!!!”; “Se va via Lavezzi compro Jovetic” – Per poi dire “Non comprerei mai Jovetic, farei uno sgarbo ai miei amici Della Valle”; “Voglio una squadra di giovani” – Ma a guardare la carta d’identità della difesa, tutta, si va ben oltre i 30 anni di età media. Queste son soltanto una piccola raccolta delle dichiarazioni discordanti del patron azzurro: se si volesse redigere un elenco completo non basterebbe un intero articolo.

Dopo tutto ciò, la domanda sorge spontanea: ma il Napoli che modello sta inseguendo? Programmazione non ce n’è visto che giovani non se ne vedono, quei pochi che ci sono l’attuale mister non li fa giocare, e i giovani diventati campioni vanno via (Lavezzi ndr). Non si comprano campioni perché guadagnano troppo e vogliono i diritti d’immagine, non si comprano giovani che posson diventare campioni perché le società proprietarie dei cartellini li valutano troppo e allora dove si va a parare? A parte il colpo di fortuna di Cavani (che a sua volta doveva la sua fortuna al Pocho, l’anno prossimo probabilmente tornerà nella sua dimensione di 15-16 gol) questa società dopo Marino non ha fatto più nulla. Si è ritrovata ad improvvisare, a sbagliare un colpo dopo l’altro (si pensi che quest’anno otto undicesimi della squadra erano dell’intelaiatura costruita dall’attuale DG dell’Atalanta). Questa dirigenza ha preferito Britos a Criscito (che avrebbe pagato anche meno) soltanto perché Criscito voleva due milioni all’anno di stipendio mentre Britos prende parecchio sotto il milione. Ha preferito Dzemaili a Vidal per lo stesso motivo. Si poteva prendere Pirlo a zero, stiamo parlando di uno dei più grandi centrocampisti degli ultimi vent’anni, ma il famoso salary cup ha fatto in modo che ciò non avvenisse. E allora di nuovo la domanda: ma il Napoli cosa vuole fare da grande? Il pocho è andato via perché il Napoli non poteva più permetterselo, e ben presto potrebbe accadere lo stesso per Cavani. Ma allora il modello partenopeo è quello del cinepanettone? Attori di medio livello a buon mercato, che si cambiano se qualcuno pretende un aumento tanto il prodotto vende lo stesso, e spremere il settore fino all’ultimo euro?

Le sensazioni quindi sono tutt’altro che positive, ma il fortunato presidente azzurro, in caso di vittoria della supercoppa, avrà già tutte le scusanti per un’eventuale stagione fallimentare. In ogni caso come dice il Pocho nella sua lettera d’addio da tanti criticata (?) “Nada es por siempre”, difatti i cinepanettoni stanno per chiudere battente perché il pubblico ne ha avuto abbastanza. Che avvenga lo stesso per la squadra azzurra? L’unico elemento che allontana il tifoso dal Napoli è proprio la monotonia, l’appiattimento, la mediocrità. Il napoletano preferisce un giorno da leone piuttosto che cento da pecora il che tradotto significa che il tifoso predilige avere Maradona ed essere la squadra più forte al mondo per 5 anni e poi finire in serie C, piuttosto che tanti anni di storia fatti di mediocrità. La cessione di Lavezzi rappresenta quindi il simbolo della fase calante del percorso del Napoli con questa nuova gestione. Il pocho è andato via e con lui le speranze di una città che aveva rivisto nel furetto argentino la possibilità di un nuovo giorno da leoni.

Au revoir pocho, tu nous manques, au revoir projet Napoli.

Marco Branca

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