La violenza sulle donne: primato italiano, appello di Se non ora quando

Donne e uomini sfilano uniti in una delle tante manifestazioni contro la violenza sulle donne

Ci risiamo, violenza sulle donne. Un argomento all’ordine del giorno, al pari della crisi economica e degli scandali calcistici. Non c’è un solo giorno in cui una donna non viene aggredita. Ogni anno porta i suoi numeri. Negli ultimi quattro mesi sono state 54 le violenze finite in tragedia, come se continuare a vivere dopo un’esperienza traumatica del genere non sia comparabile alla morte. La mano è sempre quella dell’uomo. Quella di un fidanzato, ex compagno o marito che non accetta la fine di una relazione o la voglia di imporsi della propria donna. Una donna vista come proprietà del suddetto. Come siamo arrivati a tutto questo? Come una società come la nostra – al pari delle grandi potenze mondiali, al pari delle popolazioni più industrializzate e civilizzate – ha toccato tali livelli di aggressività?

Le domande sono tante e, mentre si cerca di dare una risposta, altre donne subiscono violenze all’interno delle mura domestiche e fuori. L’uomo ha sviluppato un’isteria nei confronti dell’emancipazione femminile. Un irrefrenabile senso di impotenza che lo porta ad agire nell’unico modo in cui si può annientare lo spirito di una donna: la violazione della propria persona e delle proprie libertà. Lo stalking è solo una delle tante forme di limitazione dell’agire femminile. Giocano sulla paura, cavalcando l’onda delle tante notizie di aggressioni che ogni giorno popolano i giornali televisivi e cartacei. “Con dati statistici che vanno dal 70% all’87%, la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese”. Queste le parole della relatrice speciale delle Nazioni Unite, Rashida Manjoo, nel gennaio di quest’anno, al termine della sua visita in Italia. È il triste primato del nostro Paese sotto gli occhi del mondo. E continua accusando lo Stato di scarsa tutela giuridica, “Gran parte delle manifestazioni di violenza non viene denunciata in un contesto caratterizzato da una società patriarcale e incentrato sulla famiglia; la violenza domestica, inoltre, non sempre viene percepita come reato (…). Per di più, un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle donne vittime di violenza sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema”.

E tornano i dati Istat che, da sempre, fanno una radiografia alla popolazione italiana. Una donna su tre è stata vittima di una violenza, e nel 63 percento dei casi i figli hanno dovuto assistere a tali immagini che si ripercuoteranno sulla loro crescita emotiva. La fascia d’età maggiormente colpita è quella dai 16 i 24 anni, età in cui il passaggio dall’adolescenza alla maturità psicoemotiva influenzerà l’intera vita di una donna. Ciò non toglie che le vittime non hanno caratteristiche precise. Vanno dai 16 agli 80 anni, da poca istruzione a master di ogni genere, da casalinghe e donne in carriera. Il comun denominatore è un uomo che per “troppo amore” toglie loro la dignità o la vita stessa.

Il record dell’Italia deve avere un freno. L’appello di Se non ora quando, con la partecipazione di tutte le associazioni femminili, contro il femminicidio vuole proprio questo. La petizione online è solo una delle tante iniziative che propongono un arresto netto delle violenza. La denuncia è stata indotta anche dal perpetuo silenzio della politica la quale, con pochi sprazzi di lucidità, chiude gli occhi dinanzi a tanta inciviltà. La petizione “Mai più complici” segna un nuovo appello e, si spera, un altro traguardo. Si leggono parole, nel comunicato stampa, che non posso lasciare indifferenti uomini e donne. “È ora di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. È tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà”.

Roberta Santoro

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