Là-bas – Educazione criminale, la recensione

Prodotto da Eskimo , Figli del bronx e Minerva Pictures, Là-Bas è un romanzo di formazione criminale di un giovane africano nella gomorra degli immigrati

Là-bas in francese significa laggiù, altrove. Europa, Italia, nord o sud, poco importa. Per gli immigrati africani vuol dire semplicemente “lontano”. Via dalla terra natale verso un luogo dove tutto è possibile. Un luogo dove quasi sempre, i sogni e le speranze di chi arriva si scontrano con la realtà disillusa di una terra che in fondo, ha poco più da offrire di quella che si è lasciati alle spalle. Il Là-bas di Yussouf si chiama Castel Volturno, trenta chilometri da Napoli. Come tanti altri migranti, Youssouf (Kader Alassane) arriva dall’Africa carico di aspettative, sogna di diventare un artigiano e racimolare i soldi necessari a  comprare il macchinario utile per il suo lavoro. Scoprirà che per sopravvivere alla dura realtà della vita clandestina, le alternative sono due: pensare da “immigrato”, accontentandosi di vendere fazzoletti ai semafori assieme all’amico Germain (Billi Serigne Faye), o vivere come un “avventuriero”, lasciandosi tentare dai soldi facili del traffico di droga dello Zio Moses (Moussa Mone). Di fronte al bivio tra una vita onesta ma povera, e una vita agiata ma condotta nell’illegalità, Yussouf sceglie la via più facile. E forse anche l’unica possibile. Ma nel litorale domizio è la camorra a gestire e controllare ogni traffico di stupefacenti, e lo scontro con la mafia nigeriana sarà inevitabile. E quando Yussouf lo capisce, arriva il momento di scegliere da che parte stare.

Nonostante si ispiri alla strage di Castel Volturno del 18 settembre 2008, di cui furono vittime sei ragazzi africani, tutti incensurati, uccisi da un commando di camorristi come monito ai loro connazionali coinvolti nel narcotraffico, non c’e’ la camorra al centro dell’opera prima di Guido Lombardi, e la stessa ricostruzione della strage di San Gennaro non e’ che relegata a poche scene finali. Il cuore del film sta tutto in quel sottotitolo “Educazione criminale”.  Ambientata nella più africana tra le città europee, come Roberto Saviano ha definito Castel Volturno, “Là-bas” è un feroce racconto di formazione alla vita criminale di un giovane  ragazzo immigrato dei nostri tempi, uno come tanti, arrivato in cerca di un futuro migliore,  per poi rendersi conto che anche qui c’è solo miseria e povertà. Una povertà che come dice lo zio Moses a Yussouf “qui è pericolosa” perché ti porta a cercare il benessere altrove, dove non dovresti.  Ed è in quell’altrove che molti scelgono di trovare una via alla sopravvivenza. Ed è di questo che parla il film. Di questa scelta tra sfruttamento e crimine, e delle conseguenze sulle persone che sono costrette a farla. Un dilemma morale ed esistenziale che non ha colore della pelle, e che prima o poi si presenta davanti a tutti quelli che devono decidere se essere onesti o fare i furbi per farsi spazio nella società.

Immigrati e integrazione  è un tema particolare e delicato spesso raccontato dal cinema italiano. Di recente si sono visti Cose dell’altro mondo, Il villaggio di cartone e Terraferma.  Ma la sensazione è che Là-Bas rappresenti qualcosa di diverso, più originale. L’opera prima di Guido Lombardi, premiata a Venezia con il Leone del Futuro, è un film atipico, difficile e coraggioso, ma bello.  Atipico perché sceglie di raccontare questa storia servendosi di una prospettiva inedita all black; Non offre un punto di vista “bianco” sull’immigrazione clandestina, né sceglie di rappresentarla servendosi dell’abusato clichè per cui tutti i bianchi sono i buoni e tutti i neri sono i cattivi. Dà uno sguardo dall’interno, oggettivo, crudo, senza retorica buonista e antirazzista, sulla dura condizione di un umanità che ogni giorno agli angoli delle nostre strade, facciamo finta di non vedere. Difficile perché è recitato in francese, inglese e dialetto campano (con sottotitoli in italiano) da attori non professionisti (eccetto per Esther Elisha nel ruolo di Suad, una prostituta che Yussouf sogna di riscattare dalla vita in strada). E per un film italiano, e per giunta di un esordiente, è una scelta che può equivalere a un suicidio. Infine bello e coraggioso, perché nonostante le difficoltà che ha superato per essere realizzato, tra permessi negati, soldi che non c’erano e distribuzione inesistente, Là-Bas è riuscito ad arrivare in sala con quel suo straordinario messaggio sociale racchiuso nella voglia di riscatto urlata dal suo fragile protagonista.

Enrica Raia

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