Il prefetto De Martino nella bufera dopo la sfuriata a don Patriciello

Il parroco di Caivano mortificato dall’aspro rimprovero del prefetto De Martino. La sua colpa? Aver chiamato “signora” il prefetto di Caserta

Ha il volto segnato dall’età e dalla stanchezza, don Maurizio Patriciello. Il prete di Caivano che, da anni, lavora attivamente sul territorio per combattere l’avanzare della delinquenza e dell’illegalità, vivendo al servizio dei giovani, cercando di comprendere le difficoltà della gente, restando al fianco di chi lotta per la difesa della propria terra contro l’ineluttabile destino segnato dalla presenza della camorra.
Ha il volto stanco, don Patriciello, perché è un prete “impegnato nel sociale”, ovvero uno di quelli che si cura di progettare un futuro diverso per le generazioni che nascono e crescono nella sua parrocchia. Difatti il 18 ottobre il prete di Caivano era presente in prefettura, pronto a prendere la parola, per esporre dinanzi alle autorità competenti lo stato di emergenza in cui versano le terre campane: devastate da roghi tossici, dalla puzza che uccide l’aria ed inquina i polmoni dei cittadini, dallo sversamento illegale di rifiuti.

Presente in sala tra le Istituzioni e i cittadini, don Patriciello ha provato a sviscerare la tematica del disastro ambientale in Campania, ma le sue parole – ahimè – sono passate quasi inosservate. Ciò che il popolo italiano ricorderà del suo intervento in prefettura il 18 ottobre sarà soltanto la colpa, senza indugio denunciata dal prefetto di Napoli De Martino, di essersi rivolto alla “signora prefetto di Caserta”, Carmela Pagano, chiamandola semplicemente “signora”.

Quella che chiunque avrebbe accolto come la dialettica di un uomo semplice, abituato a relazionarsi con le persone che si celano dietro i ruoli e le posizioni sociali, è stata imputata a don Patriciello, da parte del prefetto di Napoli De Martino, come offesa alle istituzioni, in virtù di un mancato riconoscimento della funzione istituzionale della “signora” in sede di dibattito. “Don Patriciello conosceva il prefetto Carmela Pagano ed il suo ruolo. Pertanto, dopo averla chiamata per ben tre volte signora ho ritenuto doveroso invitare don Patriciello a rivolgersi al responsabile della prefettura di Caserta utilizzando il titolo di prefetto, perché riconoscesse nel suo interlocutore, agli occhi tutti, il ruolo e le responsabilità che sono affidate al rappresentante di governo”. Questa la spiegazione data dal prefetto De Martino per la sua sfuriata che, documentata da un cellulare, è rapidamente finita su Youtube, per fare, poi, il giro della rete scatenando un’ondata di polemiche e meritando l’indignazione non soltanto di privati cittadini, ma anche di personalità del mondo politico.

È, invece, mortificato dal rimprovero ricevuto, don Patriciello, che lo ha comunicato al prefetto De Martino in una lettera, scritta a caldo, solo poche ore dopo l’accaduto: “se a me è concesso di ignorare che chiamare signora, la signora prefetto di Caserta fosse un’offesa tanto grave, non penso fosse concesso a lei arrogarsi il diritto di umiliare un cittadino italiano colpevole di niente…”. E aggiunge anche: “ogni qualvolta che una persona si appropria di un diritto che non ha, sta usurpando un potere che non gli è stato dato. Tutti possiamo cadere in queste sottili forme di antidemocrazia. Ecco, signor prefetto, glielo dico con le lacrime agli occhi, lei stamattina mi ha dato proprio questa brutta impressione. Lei ha calpestato la mia dignità di uomo”.

Un’umiliazione pubblica di cui sembra troppo difficile comprendere il senso, che ha rappresentato per molti italiani, già indignati dal malcostume della classe dirigente nazionale, l’ennesimo schiaffo alla cittadinanza, l’ennesimo gesto arrogante e prevaricatore da parte di chi dovrebbe lavorare per il popolo e con il popolo. Forse, piuttosto che puntare sulla necessità di veder riconosciuto il proprio ruolo istituzionale, il “signor prefetto” dovrebbe riflettere sul ruolo fondamentale svolto da cittadini attivi come don Patriciello, i quali sostengono i cambiamenti sociali più complessi e duraturi, quelli che nascono “dal basso” per iniziativa di chi, vivendo i territori, ne legge i bisogni reali e, nel confronto con le Istituzioni, cerca di darvi una risposta concreta.

Sara Di Somma

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