Il poeta-senatore: Mario Luzi e i suoi versi eterni

Mario Luzi nel suo studio

Mario Luzi nel suo studio

Il 28 febbraio 2005 è venuto a mancare uno dei più grandi poeti del Novecento: Mario Luzi. Alla sua morte, Dario Fo ha commentato: “È morto il Senatore, perché il Poeta resterà sempre con noi”. Senatore a vita a novant’anni, ma mai nessun Nobel per l’autore toscano.

Nato il 20 ottobre 1914 -sessant’anni dopo Rimbaud- a Sesto Fiorentino, vive l’infanzia tra Siena e Firenze. Proprio a Firenze, Luzi si laurea in Letteratura francese. Collabora con riviste d’avanguardia come Frontespizio, Campo di Marte e Letteratura. Dopo la laurea, per qualche anno insegna alle scuole superiori; nel ’55, invece, assumerà la cattedra di letteratura francese presso la facoltà di Scienze Politiche di Firenze. L’esordio poetico avviene nel 1935 con la raccolta La barca, in cui domina ancora una contemplazione della Natura e della solarità; successivamente, Luzi si avvicina sempre di più all’ermetismo e agli ermetici. Già in questa fase si può riconoscere uno degli aspetti che caratterizzerà tutta la produzione poetica del fiorentino: “la certezza dell’essenza spirituale dell’universo”, come l’ha definita Franco Fortini. Essa si traduce, in questa fase giovanile, in liriche che si rifanno al suo maestro Mallarmè per la preziosità del linguaggio, la carica simbolica e l’assenza quasi totale della storia e della realtà. Il periodo migliore della poesia di Luzi si ha, secondo alcuni critici, negli anni Cinquanta quando l’apparente distacco del poeta si trasforma in inquietudine profonda che investe i campi dell’esistenza e si traduce in paesaggi aspri, tetri e abitati dal vento; comincia a farsi strada, inoltre, quella ricerca di un ponte tra tempo ed eternità, essere e divenire: una logica nel caos, una spiegazione all’insensatezza del vivere che culiminerà nel 1968 con la raccolta Nel magma che, fin dal titolo, testimoniamo un’immersione a piene mani del poeta nel disordine e nella metamorfosi. Nel 1978 il poeta partorisce Al fuoco della controversia, che gli vale il Premio Viareggio e contiene una delle sue liriche più sofferte e profonde: A che pagina della storia, in cui Luzi si interroga sul ritorno di Cristo, un ritorno promesso eppure solo sperato. A che limite della sofferenza giungerà qualcuno a riportare ordine? La sua è una domanda necessariamente destinata a rimanere senza risposta. Negli ultimi anni, contemporaneamente alla produzione lirica, Luzi affianca quella drammaturgica. Il ritratto dell’uomo che viene fuori dai versi, dalle interviste, dagli scritti, è quella di un uomo umile, intelligente, disponibile e aperto al dialogo e allo scambio. Sensibile come pochi, come sanno esserlo solo i grandi uomini. In tutta la sua produzione, Luzi si è attaccato a un cristianesimo profondamente sentito, che gli ha lasciato -forse- la speranza di una vita dopo la morte. Una speranza di cui tutti, in fondo, abbiamo bisogno per sopravvivere.

Sepolto nel cimitero di Castello, a Mario Luzi è stata dedicata una lapide nella basilica di Santa Croce e Firenze, accanto a quella di grandi come Michelangelo, Alfieri, Galilei e Dante.

Emiliana Cristiano

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