Pëtr Il’ič Čajkovski, quando il mecenatismo è amore

Un ritratto del compositore russo

Un compositore russo, omosessuale, perseguitato dal regime, incontra una vedova. Ricca, perspicace, sensibile, la donna, innamorata della sua musica, gli mette a disposizione il suo patrimonio per continuare a comporre. Nascono così opere come “La Pulzella di Orleans”, “Ouverture 1812” e “Mazepa”. La donna si chiama Nadezhda Filaretovna von Meck. E il compositore è Pëtr Il’ič Čajkovski. È una storia oscura, taciuta, poco raccontata, quella del loro amore platonico, nutritosi alla luce delle candele, nelle stanze buie delle case addormentate, davanti a uno scrittoio dove ha preso vita un folto carteggio, metri di lettere e chilometri di parole per abbreviare una distanza fisica che sarebbe stata sempre incolmabile.

Al mondo esistono infiniti modi d’amare, e il mecenatismo è uno di questi. I soldi non c’entrano, non è un affare puramente materiale, un do ut des senza intermediari, un’elemosina acculturata. Il denaro in questa storia è veicolo di un amore condiviso, che unisce due esseri nello spirito più di quanto possa fare uno sguardo o una stretta di mano.

 Pëtr Il’ič Čajkovski lo sapeva bene; ci aveva già provato, lui, a fingere una “normalità” che gli avrebbe garantito una vita socialmente tranquilla. Pagando il prezzo della vergogna, dell’occultamento, dell’abiura di se stesso.

Nato il 7 maggio 1849 a Votkinsk, cittadina russa serrata tra gli Urali, Pëtr Il’ič dimostra un precoce e del tutto spontaneo talento musicale. Suo padre è caporeparto di una compagnia locale di metalli, mentre sua madre è figlia di un’antica casata francese, ormai decaduta. I suoi genitori non hanno tempo per la musica.

Pëtr invece impara presto ad amarla. Colpito dalla prematura morte della madre, uccisa dal colera quando lui ha solo quattordici anni, a quindici compone e pubblica la sua prima canzonetta. Dopo gli studi in Giurisprudenza, imposti dalla famiglia, decide di tentare la carriera musicale; viene ammesso e si iscrive al conservatorio di San Pietroburgo, dove subito dopo la laurea gli viene offerta una cattedra in armonia musicale.

Pëtr accetta, ma la vita di società non gli viene facile. Schivo per temperamento e insicuro di carattere, vive in perenne equilibrio tra la fuga – psichica e fisica – e il bisogno di restare, costretto a nascondere a tutti la propria omosessualità. Nel 1877 entra in crisi. Una donna, Antonina Milyukova, si innamora perdutamente di lui e minaccia il suicidio davanti all’ipotesi di un rifiuto. Pëtr vede erroneamente in lei una via di uscita dalla sua situazione di perenne dissimulazione. Il matrimonio di facciata è breve e completamente fallimentare: poco dopo le nozze Pëtr tenta il suicidio, e il suo medico gli impone di troncare la relazione. Ma Antonina non è intenzionata a concedergli il divorzio. Čajkovski parte allora per un lungo viaggio, dando inizio a una lunga serie di pellegrinaggi in giro per l’Europa. La relazione tra Pëtr e Antonina non avrà seguito, se non in note. L’incontro con Antonina lascerà in eredità ai posteri uno dei personaggi più controversi e interessanti del compositore, Tatyana, l’eroina di Eugene Onegin.

Al ritorno dall’Europa, la madre Russia non lo accoglie a braccia aperte. Il divorzio è una possibilità remota, e gli omosessuali non sono visti di buon occhio. È in questi anni che inizia il carteggio con Nadezhda Filaretovna von Meck. Čajkovski parte sempre più di frequente, approfittando della scusa delle tournèe. E, insieme alla Russia, si lascia alle spalle anche la sua misantropia. Forse solo negli Stati Uniti, terra d’avanguardia e  di opportunità, riesce a trovare un po’ di pace. Dirige concerti a Philadelphia, Baltimora e New York e partecipa al concerto d’inaugurazione della Carnegie Hall. Rientrato in Russia, compone il suo ultimo capolavoro, la sinfonia “Pathètique”, che racconta la vita di un uomo che da giovane ottimista si ritrova a morire deluso da tutto. Ormai neanche più le lettere scambiate con la vedova von Meck, l’unica a conoscerlo nel profondo, riescono a lenire le sue ferite. Čajkovski fa giusto in tempo a dirigere la prima della sua ultima opera. Una settimana dopo lo seppelliscono. Insieme al suo corpo senza vita, nella terra buia e fredda cala anche il mistero di una morte che non venne dal colera ma fu quasi sicuramente una scelta cosciente, figlia della disperazione.

Giuliana Gugliotti

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