Una ricchezza gialla: l’urina

Ogni giorno il nostro corpo espelle abitualmente circa 1,5 litri di urina. Senza sapere che stiamo buttando via una grande risorsa. E’ proprio così: l’urina presenta infatti numerose proprietà e nel corso dei secoli ha assunto un ruolo nobile nei diversi settori, dall’artigianato all’igiene e alla bellezza, dall’agricoltura alla medicina.

Basti pensare che durante l’impero romano l’urina veniva adoperata, grazie al suo potere sbiancante, per la pulizia dei denti. Appare curioso sapere che ci fosse anche una predilezione per l’urina ispanica, più precisamente portoghese, poiché considerata migliore per l’igiene orale. Anche Catullo decanta questa pratica in un verso del Carme 37, in cui afferma: “Egnati, opaca quem bonum facit barba et dens Hibera defricatus urina” (Egnazio, ti fa bello una barba scura e la dentatura strofinata da urina spagnola).
I romani non limitarono l’uso dell’urina all’igiene quotidiana ma applicarono le sue proprietà sbiancanti nelle fullonicae, lavanderia con tintoria, dove venivano lavate, tinte e stirate le stoffe. Il lavaggio prevedeva la pestatura dei tessuti in vasche riempite con acqua mista a sostanze alcaline come la soda, l’argilla smectica (terra da follone) o l’urina, poiché avevano proprietà smacchianti. I panni posti in queste vasche venivano pigiati per ore dagli schiavi facendo il lavoro delle moderne lavatrici, poi venivano sciacquati in acqua e trattati con altre sostanze come la creta fullonica per infeltrirli e dar loro maggiore consistenza; infine venivano stesi ad asciugare per poi essere stirati sotto speciali presse. I tintori utilizzavano l’urina come mordente per i colori.
L’imperatore Tito Flavio Vespasiano impose addirittura una tassa sull’uso dell’urina, che era stata per i tintori sempre a costo zero. Si narra che il figlio chiese all’imperatore se fosse opportuno tassare l’urina: a questa domanda Vespasiano fece portare delle monete provenienti da tale tassazione e le esibì al figlio chiedendogli se sentisse un odore particolare; alla risposta negativa di questi rispose: “Pecunia non olet”, “Il denaro non puzza”.  Per cui i proprietari delle lavanderie e tintorie dovettero pagare i fornitori di urina. E’ in seguito alla tassa sull’uso di urina voluta da quest’imperatore che, come racconta l’aneddoto, i gabinetti in Italia furono definiti, come ancora oggi sappiamo, “vespasiani”.

Quella che all’epoca dei romani era fonte di guadagno trova tutt’oggi delle collocazioni remunerative: nello Yamen si vendono flaconi di urina a quattro dollari l’uno poiché si dice che l’urina di cammello faccia bene alla calvizie; in realtà i medici dell’Università di San’a ne hanno vietato il commercio e l’uso, ritenendo l’urina completamente inefficace nella cura della calvizie.
Anche la medicina alternativa specula su tale prodotto, il cui uso riguarda la cura dell’organismo. Per quanto urinare  consente l’espulsione dei residui di metabolismo ed altri materiali non utili, la medicina ayurvedica utilizza tra i vari rimedi l’urinoterapia, pratica definiti anche shivambu kalpa o amaroli (urina in sancrito), che consiste nell’utilizzare l’urina per prevenire o curare determinate malattie, secondo le metodologie più differenti e a seconda del tipo di terapia da applicare, ma prevalentemente tramite assunzione orale.
Secondo i sostenitori di questa pratica indiana, associare il digiuno all’assunzione di urina consente la guarigione da ogni male. In realtà può essere una pratica dannosa in quanto non vi sono prove scientifiche che ne accertano i risultati. L’assunzione di urina è una pratica antica se consideriamo che Giovanni Sartorio, medico e fisiologo istriano del Cinquecento, adoperava i clisteri d’urina. Inventò anche un aggeggio dotato di una cannula, con il quale il paziente stesso poteva, urinando, immettere l’urina nel proprio intestino. Mentre nel Seicento fu lo scienziato Giovanni Schroeder a raccomandare i clisteri d’urina contro il meteorismo.

Un uso più convenzionale viene fatto nell’agricoltura, in cui l’urina viene utilizzata come concime a seguito della trasformazione prodotta in laboratorio dal chimico tedesco Friedrich Wöhler che, nel 1828, produsse l’urea [CO(NH2)2]. In tempi più recenti si è scoperto poi che con l’elettrolisi dell’urea si produce idrogeno combustibile. A quanto pare gli atomi di idrogeno contenuti nell’urea avrebbero legami meno forti di quelli contenuti nell’acqua, per cui l’elettrolisi sarebbe meno onerosa (bastano tra l’altro 0,37 volt contro gli 1,23 dell’acqua). Si possono ottenere ben 2 KW dall’urina di 300 persone.
Ripercorrendo questa lunga storia gialla potremmo ritenerci “ricchi” in quanto fornitori di un prodotto che viene adoperato in diversi settori. Bisogna solo sperare che non si venga tassati per questo.

Simona Esposito

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