Spengler: la stampa libera è soldi e sangue…

Spengler, diceva che la stampa libera è soldi  e sangue e che essa può condannare a morte ogni verita’ semplicemente non prendendola in considerazione e non comunicandola al mondo.

Abbiamo letto giorni fa un editoriale di Giampaolo Pansa su Libero che in buona sostanza si è dilettato a ricercare le cose  dette e le querele fatte da Massimo D’Alema contro la libertà di stampa, ve le riportiamo aggiungendo che quando ciò accadeva nessuno parlò di regime dittatoriale né tantomeno di bavaglio alla libera espressione e più avanti vi spiegherò anche perché.
Leggete cosa riporta Pansa, circa le cose dette dal baffino nazionale:

“«I giornali? È un segno di civiltà non leggerli. Bisogna lasciarli in edicola».
La prima scena risale al 31 ottobre 1992. Aeroporto di Lecce. Incontro D’Alema che aspetta il volo per Roma. È mattina presto, ma lui già schiuma di rabbia contro una masnada di pessimi soggetti. I giudici di Mani Pulite. Gli editori. I giornali e i giornalisti. Primo fra tutti, Eugenio Scalfari, direttore di “Repubblica”. Massimo ringhia: «Scalfari ha leccato i piedi ai democristiani che stavano a Palazzo Chigi, da Andreotti a De Mita. E adesso fa il capo dell’antipartitocrazia».
Quarantotto ore dopo, intervistato dal “Giorno”, Max si scaglia di nuovo contro “Repubblica”: «Che cosa si vuol fare? Cacciare deputati e senatori, per lasciare tutto in mano a Scalfari?». Un vero figuro, Barbapapà. Anche perché è in combutta «con quell’analfabeta di andata e ritorno che si chiama Ernesto Galli della Loggia». “Repubblica” prova ad ammansire D’Alema. Però il 13 novembre lui replica: «Ormai i giornali sono un problema in Italia, esattamente come la corruzione». “
Per quanto riguarda  i giornali che si occuparono di tangentopoli, Pansa riporta che D’Alema ebbe a dire: «Si sono comportati in modo fazioso, scarsamente rispettoso dei diritti delle persone. Hanno alimentato una circolazione impropria di segreti giudiziari e il narcisismo della magistratura. La loro responsabilità morale è stata enorme: verbali, pezzi di verbali, notizie riservate sono diventati oggetto di uno sfrontato mercato delle informazioni. Uno spettacolo di iattanza indecente. Ha ragione la destra quando dice che c’è un circuito mediatico-giudiziario che ha distrutto delle persone».
Il 13 aprile 1993, sempre secondo l’editorialista, Max  aggiunse:  «In questo Paese non sarà mai possibile fare qualcosa finchè ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la Seconda Repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano». Ossia nello stile del comunista Pol Pot, il sanguinario dittatore della Cambogia.
“Nel giugno 1995, intervistato da Antonio Padellaro per “L’Espresso”, riprende a ringhiare contro «l’uso spesso selvaggio dell’indiscrezione giudiziaria». E conclude che le cronache su Tangentopoli hanno «consumato quel poco di rispetto per lo stato di diritto e di cultura liberale esistente da noi. Il danno prodotto è stato enorme. Provo fastidio per il comportamento dei giornalisti: non aiuta di certo l’immagine dell’Italia».
Pansa ricorda che il leader massimo ebbe a dire anche di lui:  «Pansa si fa leggere sempre, ma ha un difetto: non capisce un cazzo di politica. C’è uno solo in Italia che ne capisce meno di lui: Romano Prodi».
Intervistato da Lucia Annunziata dice di sentirsi una vittima: «Due giornalisti mi tengono e il terzo mi mena». «Il livello di faziosità e di mancanza di professionalità è impressionante». «Non esiste l’indipendenza dell’informazione: i giornali non sono un contropotere, ma un pezzo del potere. E come tali sono inattendibili». «Il loro compito è la destrutturazione qualunquista della democrazia politica». «Gli editori si contendono a suon di milioni i giornalisti più canaglia».
«Se dovrò dire qualcosa di importante, lo dirò alla gente, non ai giornali. Andrò alla televisione. Mi metto davanti a una telecamera con la mia faccia, con le parole che decido di dire, senza passare per nessun mediatore. Se parli con la stampa, sei sicuro di perderci».
Nel 1996 l’Ulivo vince le elezioni ma D’Alema è insofferente,  Prodi e Veltroni non gli piacciono, li definisce come: «i due flaccidi imbroglioni di Palazzo Chigi». Poi ritorna ad attaccare la stampa e alla festa dell’Unità di Gallipoli spiega: «Ormai c’è qualcosa di più che il normale pettegolezzo giornalistico, tendente ad alterare la verità. Ci sono lobby, interessi, gruppi che pensano spetti a loro dirigere la sinistra italiana».
Poi spara su Berlusconi: «Mi sta sul cazzo come tutti i settentrionali. È un coglione ottuso. La sua stagione è finita». “
Il 5 maggio dello stesso anno, Max scandisce a Montecitorio un anatema globale: «L’ho detto una volta per tutte, con validità erga omnes, con valore perpetuo: quello che scrivono i giornali è sempre falso». Poi inveisce contro l’ordine dei giornalisti, dicendo che va abolito.
Il 10 febbraio 1998 parte la causa civile al “Corriere della sera” per quanto ha scritto «su un fantomatico piano D’Alema per il sindacato». Richiesta: due miliardi di lire.
Dove era nascosta la FNSI in quel tempo? Come mai nessuno pensò di scendere in piazza? Ve lo dico io perché, D’Alema non è il Cavaliere, e nonostante la particolarità ella figura, resta sempre uno “piccolo” e pertanto le sue esternazioni hanno poco peso sugli italiani,  nessuno si arricchisce utilizzando la sua immagine e a pochi interessano le cose che dice, se le cose invece ruotano intorno a Berlusconi cambia tutto, lui rappresenta l’Italia vera, fatta di cose buone e degne  e di cose poco nobili,  è la sintesi della italianità, ecco perché  tutti tifano pro e contro di lui, e il Paese si fa sedurre entra in uno sonno ipnotico, dimentica le vere problematiche e corre indietro alle prostitute di palazzo e cosi anche l’inciucio si nobilita e diventa Gossip. Un tempo la piazza aveva un valore nobile, era luogo di dibattito e di crescita democratica, oggi è diventata ribalta per teatranti e per improvvisati attori imprestati alla politica che hanno capito che con Berlusconi si fanno affari d’oro,  e devo dire la verità lui non fa proprio niente o quasi per evitarlo, anzi quando cala l’interesse intorno alla sua persona ci pensa da solo a farlo crescere, basta un Bunga bunga, un  Tarantini di turno e le cose vanno a gonfie vele per tutti i “farabutti” che vivono di gossip.
Altro che bavaglio alla libertà di stampa, svegliamoci dal sonno e buttiamoli tutti fuori dall’Italia questi parassiti e  ricottari, compresi tutti i politici, mettiamoli sui barconi e affondiamoli, nessuno escluso.

Vincenzo Branca

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