Sparatoria a Palazzo Chigi: caso Preiti è allarme sociale?

Luigi Preiti bloccato dalle forze dell'ordine dopo la sparatoria davanti a Palazzo Chigi

Luigi Preiti bloccato dalle forze dell’ordine dopo la sparatoria davanti a Palazzo Chigi

Accade che, una mattina, un uomo si sveglia e capisce di non avere più nulla da perdere. Accade che, improvvisamente, qualcosa – quel qualcosa che tiene insieme una persona, la sua morale, quello in cui crede – si spezza, e l’Io si disintegra. Accade allora che la violenza, gesto estremo di ribellione contro un mondo che ha solo preso, e poco o nulla ha dato in cambio, prende il sopravvento, e diventa l’unica via di fuga da una realtà che si è trasformata in un inferno a colori.

L’uomo decide allora di comprare una pistola. Non sa bene perché né che cosa farà, ma la compra. Poi aspetta. Aspetta un giorno importante, il momento in cui agire. Quel frangente storico che farà da cornice al suo gesto, eclatante, disperato, inscrivendolo nell’eternità. Luigi Preiti, l’uomo che domenica mattina ha sparato davanti a palazzo Chigi nel giorno del giuramento di Letta ferendo due carabinieri, è solo uno dei tanti uomini distrutti dalla crisi, l’emblema di un paese che va a rotoli e travolge tutto ciò che incontra sul suo cammino, trascinandosi dietro vite spezzate.

La sua è una storia come tante: figlio di un profondo sud abbandonato a se stesso, lontanissimo dagli alti scranni della politica e dell’economia nazionali, lascia Rosarno in Calabria e parte verso Nord, alla volta di Alessandria, armato solo dell’ingegno e delle sue mani da faticatore. Apre una piccola impresa edile, si fa una famiglia, una moglie e un figlio. La vita non è rosea, ma vale ancora la pena di essere vissuta. Poi, la crisi: familiare, economica. La separazione dalla moglie, i debiti. Quel maledetto vizio dei videopoker da cui non riesce a guarire, forse perché è l’unica via di fuga da una realtà grigiastra che i colori li ha lasciati indietro, nelle terre assolate e gravide della sua infanzia calabra. Quelle stesse terre, dopo il fallimento, lo richiamano a sé, come una madre accogliente e soffocante.

A 49 anni Luigi torna a vivere in Calabria, a casa dei suoi genitori. Fa qualche lavoretto saltuario, tanto per tirare avanti. Quello che si è lasciato indietro suo malgrado non tornerà. La sua vita perde senso, tutti i sacrifici fatti sembrano vani. Tutto ciò che ha costruito e per cui ha lottato non esiste più. Il destino (ironia!) l’ha ricondotto al punto di partenza, lasciandolo a mani vuote. Quelle mani allora Luigi decide di riempirle. Con una pistola. Nella sua mente si aprono scenari di vendetta contro un non meglio precisato colpevole. Chi accusare della situazione? I politici, certo. Stando alle sue dichiarazioni erano loro il suo obiettivo: i fantomatici figuri scurovestiti che, blindati dentro i loro palazzi sfarzosi, fanno il bello e il cattivo tempo decidendo della sorte del popolo.

Luigi si arma, aspetta il giorno opportuno, poi sale a bordo della sua Pegeout 307. Arriva a Gioia Tauro, e da qui si imbarca su un treno per Roma. Affitta una stanza in una pensione a Termini e il giorno dopo va via, dopo aver pagato il conto, diretto verso i centri istituzionali del potere. Indossa un vestito scuro, nella borsa una cartina di Roma su cui ha segnato le sue zone/bersaglio e la Beretta 7,65.

Raggiunge piazza Colonna, palazzo Chigi. Tenta di oltrepassare le transenne, il vestito istituzionale da guardia del corpo lo aiuta, confondendolo nella folla. Centrare il bersaglio però non si rivela così facile dal vivo come poteva esserlo nelle sue fantasie deliranti. Ma ormai è tardi per tornare indietro. La pistola gli brucia tra le mani. L’obiettivo di riserva, non potendo mirare ai politici, diventano le forze dell’ordine. Luigi spara, e ferisce due carabinieri.

Francesco Negri, 30 anni, di Torre Annunziata, viene colpito alla gamba. Cade, si frattura la tibia. Giuseppe Giangrande, siciliano, vedovo da appena due mesi, viene colpito al collo. Sfiora la morte, e adesso è in prognosi riservata. Luigi Preiti invece è stato fermato e condotto al carcere di Rebibbia. Da una prigione a un’altra, non deve essere cambiato molto per lui. Ma a farne le spese sono stati due innocenti, due figli del Sud, esattamente come lui, migrati altrove in cerca di una salvezza che oggi sembra sempre più impossibile. Se Luigi Preiti l’avesse saputo, forse non avrebbe sparato. Forse la sua mano si sarebbe fermata, travolta dal tremito per il senso di ingiustizia, per l’orrore del gesto che si apprestava a compiere.

Ma queste cose Luigi Preiti non le sapeva, e la sua mano ha premuto il grilletto. Non è chiaro quanto il suo gesto fosse premeditato, anche se il ritrovamento di una punta di trapano nella borsa che aveva a tracolla il giorno dell’attentato lascerebbe supporre che Luigi Preiti l’abbia usata per cancellare i numeri di matricola dalla sua Beretta 7,65, che quindi non sarebbe stata acquistata 4 anni fa a Genova, come lui stesso ha dichiarato ai magistrati, ma in Calabria. L’ombra della ‘ndrangheta si allunga minacciosa su un atto che sembra molto più premeditato di una momentanea follia, per poi essere subito dopo scartata dagli inquirenti: si tratta di un gesto isolato.

La lucida pazzia di un uomo che ha non ha più niente da perdere. Giustificare è impossibile, comprendere è difficile. Ma altrettanto impossibile sarebbe stigmatizzare, relegare quest’atto nella sfera inaccessibile della follia di un singolo. Luigi Preiti è la punta dell’iceberg di un malessere che sta infettando non solo l’Italia, ma tutto l’Occidente. La solitudine, la paura di non farcela, la sensazione di aver perso tutto. Non è un delirio, ma la realtà in cui viviamo. Alcuni sopravvivono, altri non ce la fanno. Alcuni uccidono, alcuni si suicidano. Lo stesso Preiti ha dichiarato che subito dopo aver sparato ai due militari avrebbe voluto suicidarsi, ma aveva finito i colpi; o forse la pistola si è inceppata, fatalmente, per lasciarlo vivo a scontare il peso di ciò che ha fatto. Un peso che la morte avrebbe annullato.

Non siamo troppo lontani da quel 17 dicembre 2010, quando Mohamad Bouazizi, ambulante tunisino, si diede fuoco in segno di protesta contro il sequestro della sua merce. Non siamo troppo lontani nemmeno dallo scorso 5 aprile, giorno in cui due anziani coniugi marchigiani strozzati dai debiti si sono tolti la vita, travolgendo nel loro destino anche il fratello di lei, che si è gettato in mare dopo aver trovato i corpi.

Omicidio e suicidio, due facce di una stessa logorata medaglia, quella di una crisi che non è solo economica, ma anche sociale e valoriale. Un gesto, quello di Luigi Preiti, che fa eco a tante altre situazioni limite, e che quantomeno, oltre alla condanna, dovrebbe stimolare una più profonda riflessione sul futuro del nostro paese, della nostra cultura, della nostra società.

G.G

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