NORD-SUD: UNO SCHEMA ECONOMICO-SOCIALE

Nord e sud del mondo

La ridefinizione delle gerarchie mondiali odierne, lette non più tanto in chiave politico‐ideologica,

quanto piuttosto in una prospettiva economicosociale, si deve a una Commissione dell‟ONU

presieduta dall‟ex cancelliere dell‟allora Germania Ovest, Willy Brandt, le cui conclusioni sono

sintetizzate nell‟ormai conosciuto Rapporto sullo sviluppo mondiale, edito nel 1980 sotto il titolo

emblematico Nord/Sud. L‟argomento chiave del Rapporto è incentrato sulla rottura ancora più

profonda e radicale che si è venuta ad aggravare negli ultimi decenni all‟ombra della

contrapposizione Est‐Ovest e mentre tutti i commentatori internazionali erano concentrati su questo

confronto. Questa nuova divisione, suscettibile di compromettere in maniera irreversibile gli

equilibri mondiali, è quella che contrappone i paesi ricchi e industrializzati dell‟emisfero Nord e il

resto del mondo che è invece costretto soventemente a vivere ai limiti della sussistenza, che è

caratterizzato da una crescita economica lentissima, se non stazionaria, ed è appesantito da profondi

problemi demografici, etnici e socio‐culturali. Nella visione proposta dal Rapporto Brandt, il Nord

del mondo comprende non solo i paesi avanzati dell‟emisfero nord geograficamente inteso

(l‟America settentrionale, Messico escluso, l‟Europa, inclusa l‟URSS, e il Giappone), ma anche

alcuni paesi industrializzati dell‟emisfero sud, come lʹAustralia, la Nuova Zelanda.

In questa visione, la parte sud del mondo finisce col coincidere con la vasta area del sottosviluppo comunque

essa venga classificata (paesi in via di sviluppo, Terzo e Quarto Mondo).

In ogni caso, ancora oggi, questo schema rappresenta un utile paradigma di riferimento per

analizzare le grandi dinamiche geoeconomiche globali.

Lo schema Nord‐Sud ha infatti il merito di mettere in luce le distorsioni connaturate ai meccanismi di fondo che

caratterizzano lo sviluppo economico mondiale: dominio delle economie più forti (quelle identificate come “centro”),

scambio ineguale tra paesi ricchi e paesi poveri (un rapporto che va sempre peggiorando), indebitamento in

aumento e costante impoverimento dei paesi più deboli. Tuttavia, come ogni modello a carattere

descrittivo‐generalista, corre il rischio, se non rinnovato e adattato ai continui mutamenti della

complessa realtà di oggi, di perdere in capacità esplicativa e rendere più confusa l‟analisi dei

processi che vuole interpretare.

PATRIZIA DIOMAIUTO

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