Mutatis…mutande

Cosa pensereste di una donna che non indossa le mutande? Sicuramente che è una poco di buono. Ebbene dovete ricredervi: nella storia non è sempre stato così, anzi. Nel 1700 le mutande erano un accessorio sconcio, addirittura considerato satanico dalla chiesa, indossato esclusivamente dalle femmine di strada o dalle più libertine e ripudiato dalle nobildonne. Ebbene si. Il capo d’abbigliamento che oggi quasi tutte le donne reputano indispensabile è stato invece a lungo considerato indecente nel corso dei secoli.

Il termine “mutande” deriva da un gerundio latino che significa “da cambiare”; una caratteristica, almeno questa, che fortunatamente le mutande sembrano aver avuto sin dalla nascita. Ma per il resto, nel passaggio da un’era all’altra le mutande sono cambiate molto, tenendo fede al significato del loro nome, sia nelle forme che nelle dimensioni, facendo anche cambiare la reputazione della donna che le indossava: pudicizia, moralità o lussuria?

Le vicissitudini delle mutande sono inaspettatamente controverse, e offrono uno spaccato interessante sulla storia dei costumi. Il primo paio di mutande compare approssimativamente nel lontano 3.300 a.C., presso l’avanzata civiltà egizia: un elegante esemplare, più simile a un moderno slip che ai mutandoni ottocenteschi a mezza coscia, è stato ritrovato addirittura nella tomba del faraone Tutankhamon. Un uso simile ne facevano anche gli antichi Greci, mentre le matrone romane non indossavano nulla sotto le ampie tuniche. Le mutande erano già divenute simbolo di libidine, un oggetto sessuale da utilizzare per stuzzicare la fantasia del partner celandogli l’oggetto del suo desiderio, e per questo accantonate come un vezzo superfluo, addirittura sconveniente. Per vederle ricomparire sotto le gonne bisogna aspettare l’iniziativa di alcune nobildonne di carattere, come Lucrezia Borgia e Caterina de’ Medici, che nel 1500, dopo un morigerato Medioevo, pieno di cinture di castità ma assolutamente privo di biancheria, rilanciarono le mutande come capo d’abbigliamento intimo, da indossarsi per coprire le gambe durante l’equitazione, quando le donne cavalcavano ancora all’amazzone.

La moda si diffuse ben presto in tutta Europa, ma le mutande erano destinate a una nuova disfatta: gran parte delle nobildonne infatti mal tollerava l’indumento, all’epoca lungo fino al ginocchio, e preferiva farne a meno, celando le proprie nudità sotto le ampie gonne a campana. Per contro, le mutande, riccamente decorate di filamenti d’oro e d’argento, nonché ricamate con trine e merletti, fecero la fortuna di cortigiane e prostitute, che si accaparravano i clienti proprio lasciandone intravedere i pizzi mentre sollevavano maliziosamente le gonnelle. Ma la controversa faccenda delle mutande non riguarda solo il gentil sesso.

Anche le mutande maschili hanno una storia affascinante: ricomparse – dopo la dipartita medioevale – orientativamente durante il Rinascimento, furono rilanciate sotto i riflettori della moda contemporanea da Carlo IX, che decise di imbottire l’allora attuale braghetta, simile a una odierna calzamaglia di lana, con cotone o lana, in modo da esaltare (artificiosamente) il membro virile, simbolo di forza e potenza. Una moda che perdurò fin quasi alla fine del 1500, per poi decadere lentamente, riconducendo la biancheria a più decenti e meno vistosi ruoli. Fino a scomparire nuovamente nella Francia illuminista, dove anche le mutande maschili erano considerate inadeguate: Luigi XV le liquidò, pur decidendone l’obbligatorietà per ginnaste e ballerine, affermando che “un uomo in mutande non sarà mai un eroe”. Alternativamente considerate segno di debolezza o di virtù durante tutto l’800 (Napoleone considerava i “pantaloni” femminili una “elastica virtù”; Vittorio Emanuele di Savoia le aborriva terrorizzato, mentre Oscar Wilde, convinto fautore della loro utilità, sfilò in mutande addirittura per Oxford Street), le “brache da culo” o “scrigno delle chiappe”, secondo alcune accezioni colorite, si impongono infine come oggetto di uso quotidiano solo nel XIX secolo, quando le gonne femminili si accorciano e le mutande diventano una pudica necessità: ma la strada da fare per arrivare agli slip è ancora lunga e irta di ostacoli. Se già negli anni ’20 fu possibile constatare la notevole riduzione delle sue dimensioni grazie all’impudenza delle ballerine di can-can, che si mostravano in mutande e guêpièries, appaiate a provocanti calze nere, lo slip vero e proprio farà la sua comparsa sul mercato soltanto nel 1935, nei come sempre progressisti Stati Uniti, dove per la prima volta fu lanciato un modello a Y che andò subito a ruba, trasformando le mutande in un oggetto di uso comune. Fino a divenire oggi, grazie alla pubblicità mediatica (consentita per la prima volta solo nel tardo 1967) un vero e proprio “culto di massa”.

Per approfondimenti: Luciano Spadanuda, Storia delle mutande. Dalle briglie da culo rinascimentali fino al culto contemporaneo, Coniglio Editore.

Giuliana Gugliotti

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