Malala Yousafzai, un caso che deve far riflettere

Malala Yousafzai è una studentessa ed attivista pakistana

“L’attivista pakistana Malala Yousafzai è stata colpita a sangue freddo dalle pallottole di un sicario che le ha sparato alla testa. Nota per la sua attività a favore delle studentesse pakistane e per il suo impegno nella lotta per l’emancipazione delle donne, tre anni fa già autrice di un blog per la BBC ….”. L’articolo prosegue su questi toni elogiando la forza ed il carattere di questa “donna”, dimenticando e facendoci dimenticare per un attimo che la “donna” in questione ha 14 anni. Quattordici, forse espresso in lettere si comprende meglio. O forse sarà meglio dichiarare il suo anno di nascita: 1998, lo stesso delle ragazzine che affollano l’ingresso delle prime classi dei nostri licei o passeggiano nei parchi giochi dondolandosi ancora un po’ sull’altalena prima di arrendersi definitivamente all’adolescenza che sta arrivando. Prima di proseguire, indignandoci per l’atroce gesto, fermiamoci un attimo, adulti e ragazzi, a riflettere.

Adulti, avete mai pensato di schierare vostro figlio o vostra figlia tanto apertamente contro la mafia o la camorra o la ‘ndrangheta al punto che dei sicari vorrebbero farlo fuori? Ragazze, ogni mattina, quando maledite la sveglia e lo scuolabus, avete mai pensato che c’è una ragazzina come voi che, per il solo di fatto di voler andare a scuola, si è beccata una pallottola in testa? Queste domande aprono una serie infinita di approfondimenti. Si potrebbe pensare a Malala come uno strumento nelle mani degli adulti, a partire dai suoi familiari per finire con la BBC e con i responsabili di KidsRights Fundation, che dichiarano di voler proteggere i bambini e i loro diritti …..Chi ha protetto questa povera creatura? Chi si è preso, invec, il diritto di porla così tanto in evidenza? Ci sono  molte bambine che vanno a scuola in Pakistan, perché sventolare Malala come una bandierina, ben sapendo a cosa stava andando incontro? In una società sana le battaglie le fanno gli adulti,  non i bambini. Chi si ricorda di Iqbal Masih? Da una fonte del web: Iqbal Masih è stato un bambino operaio, sindacalista e attivista pakistano, simbolo della lotta contro il lavoro infantile nell’industria tessile del tappeto pakistana”.

Fermatevi, non proseguite la lettura fin quando non avrete preso atto di quanto stridano quelle parole, affiancate fra loro: bambino/sindacalista, bambino/operaio, bambino/attivista. E poi “è stato”. Significa che non è più. Infatti è stato ucciso, a tredici anni, mentre andava in bicicletta come un ragazzino qualunque. Ma cosa spinge gli adulti a nascondersi dietro ai bambini? La vigliaccheria? La mancanza di scrupoli? L’aver vissuto essi stessi da bambini nelle stesse ingiuste e inumane condizioni? In ogni caso nessuna giustificazione, nessun “paravento” perdona tali condotte. Ma perché la lotta per l’emancipazione delle studentesse non viene condotta dal Ministero dell’Istruzione Pubblica, se esiste in Pakistan? Perché le istituzioni non prendono posizioni chiare? Sapete perché Iqbal è morto? Perché era stato venduto da suo padre ai fabbricanti di tappeti per un debito contratto per il matrimonio della sua primogenita.

Esiste quindi una società così priva di scrupoli che fa sembrare normale ad un padre “vendere” il proprio figlio per pagare un debito. Ed è una società che sfrutta, schiavizza e poi uccide i bambini che provano a reagire. Malala, Iqbal e mille altri piccoli martiri ne sono la prova. Mentre i loro genitori o le istituzioni stanno a guardare senza muovere un dito loro muoiono e soffrono nell’ombra. Perché il grido di un bambino non intenerisce più i loro cuori. E non è un fatto limitato a paesi che vengono ritenuti meno evoluti di altri. Perché nella civilissima Italia le grida di Leonardo, in provincia di Padova, o la tenera lettera alla mamma Lilli di Marcel, in provincia di Torino o il pianto di mille altri silenziosi “minori” sottratti ai genitori per i più svariati motivi di tutela e di sicurezza restano inascoltati.

Elisabetta Piras

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