L’Italia saluta Franco Califano, il cantautore umano troppo umano

Un giovane Franco Califano

Un giovane Franco Califano

“Non ho religione, non ho famiglia, a volte non ho nemmeno pensieri. Sono cresciuto prendendo calci e cercando di restituirli quand’era possibile. Un match lunghissimo con il destino che mi porto appiccicato. Giù io o giù lui. La partita non è ancora finita, chissà quale sarà l’epilogo.”

Cominciava così il suo libro, “Il cuore nel sesso” (2000), il mitico Franco Califano.

Un ragazzaccio, un playboy, una maschera, un vanesio, un artista. Si è spento questo 30 marzo a settantaquattro anni, nella sua casa di Acilia. Franco Califano è da sempre una figura controversa: amato, odiato, disprezzato o preso a modello. Uno di quelli che piace da impazzire o per niente, senza vie di mezzo. Il suo esibito narcisismo ha fatto storcere il naso a molti, indispettito chi –probabilmente- avrebbe voluto essere come lui e non c’è mai riuscito.

Nato il 14 settembre 1938 a bordo di un aereo che sorvolava Tripoli, originario di Pagani (Salerno), vive molti anni a Roma. Fin da giovanissimo è attratto dalla vita notturna, dalle donne, dalla baldoria. Dalla Roma della Dolce Vita, Califano sbarca a Milano ormai catturato dall’unica donna che non lo abbandonerà per tutta la vita: la musica. Inizialmente scrive canzoni soprattutto per altri; alterna poi la scrittura alle prime incisioni che gradualmente riescono a imporsi al grande pubblico. Alle banalità sdolcinate, Califano preferisce la cruda realtà, gli istinti, l’amore in tutte le sue mille sfumature, ma anche le delusioni, le disillusioni e i fallimenti. Tutto questo trova spazio nei suoi testi e, soprattutto, voce. Personaggio “contro”, finisce due volte in prigione: una volta nel 1970, per possesso di stupefacenti (in cui fu coinvolto anche Walter Chiari , assolto poi con formula piena) e, una seconda volta, nel 1983 ancora per droga, con l’aggravante del porto abusivo di armi (stavolta è coinvolto Enzo Tortora, anche lui assolto). L’esperienza della prigione segnerà la vita di Franco Califano, che inciderà un album per esorcizzare in qualche modo il dolore: “Impronte digitali”. Senza mai disdegnare apparizioni televisive, partecipazioni a programmi vari, senza mai essere avido delle sue esperienze, il Califfo si è raccontato e messo a nudo in più occasioni. Romanticamente cinico, dannatamente sincero, è riuscito a meritarsi una laurea honoris causa in Filosofia dall’Università di New York per “aver scritto una delle più belle pagine della Canzone Italiana”. Diverse partecipazioni a Sanremo e suoi alcuni dei pezzi più belli della musica italiana: “Minuetto”, portata al successo da Mia Martini, “La musica è finita” cantata da Ornella Vanoni, “Un grande amore e niente più” che è valsa a Peppino di Capri la vittoria al Festival di Sanremo del 1973 e l’intero album “Amanti di valore” (1974) scritto per Mina. La sua morte ha riportato, come spesso succede, luce su un cantautore che a ragione, se fosse nato in America, sarebbe da considerare membro della “beat generation”; un dannato o semplicemente un uomo che sapeva vivere la vita guardandola negli occhi, senza servirsi di fronzoli. Ora Califano sarà sepolto ad Ardea, vicino al fratello e al cugino, secondo le sue volontà. Sulla sua lapide verrà incisa, sempre per suo volere, il titolo di una sua canzone: “Non escludo il ritorno”.

Che la terra ti sia lieve, allora, Califfo.

Emiliana Cristiano

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