La vita di un mito a trentun’anni dalla scomparsa: John Belushi

John Belushi in posa

John Belushi in posa

I miei personaggi dicono che va bene essere incasinati. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. Io no

La notte del 5 marzo 1982 si spegne uno dei personaggi più stravaganti, dannati, geniali d’America: John Belushi. Appena trentatreenne, il cuore di John si è fermato a causa di un’iniezione di droga tagliata male. Una morte tutt’altro che inaspettata. L’attore, comico e cantante statunitense soffriva da anni a causa di dipendenze da alcol e droga e a nulla sono valsi i consigli, le preoccupazioni, degli amici e della moglie. John si spegne nel bungalow di un complesso alberghiero, a Hollywood. Ubriaco, obeso, solo (o quasi: con lui c’è la cantante Cathy Smith, condannata -dopo la sua morte- a sei mesi di reclusione per aver iniettato la droga all’attore in stato di ebbrezza). Eppure, guardandolo da dietro lo schermo, si fatica a trovare l’uomo sofferente. Ci vuole un occhio attento, in grado di cogliere il velo di tristezza che avvolge gli occhi di un uomo capace di strappare applausi e risate. Ma chi era davvero John Belushi? Figlio di due immigrati albanesi, l’attore cresce negli Stati Uniti con una sorella maggiore, Marian, e due fratelli più piccoli: Jim e Billy. Nel 1967 si diploma presso la Wheaton Central High School, della cui squadra di football è capitano. Tre le passioni manifestate durante gli anni liceali: football, appunto, batteria e teatro. Fan sfegatato di Elvis e Rolling Stone, dimostra presto di avere talento non solo come musicista, ma anche come cantante. E’ soprattutto nel campo della recitazione, però, che il giovane si fa presto notare. A ventidue anni viene reclutato nella compagnia di Chicago “Second City Comedy”, grazie al quale ottiene un immediato successo; in questi anni conosce Dan Aykroyd, con il quale c’è subito intesa lavorativa ed affettiva. Il suo successo aumenta quando inizia a lavorare alla televisione per l’emittente americana NBC per il “Saturday Night Live”, palcoscenico dove sono nati e cresciuti i migliori talenti comici americani. Insieme John e Dan improvvisano sketch. Il 22 aprile 1978 appaiono per la prima volta al SNL i Blues Brothers: i due, completamente vestiti di nero tranne la camicia bianca, si lanciano in “Hey Bartender”; il successo è immediato. Sono cinque i film più famosi a cui il nome di John è legato, due dei quali divenuti veri e propri cult: “Animal House” (1978) e “The blues brothers” (1980), entrambi diretti da John Landis. Nel primo, John è Bluto, nel secondo è Jake, ex galeotto, che insieme al fratello Elwood (Dan Aykroyd) si dedica al blues e alla beneficenza. A contribuire alla grandezza del film, la partecipazione di mostri sacri della musica mondiale come Ray Charles, James Brown e Aretha Franklin. Numerosi gli aneddoti che vedono protagonista un John sempre più scapestrato, troppo spesso ubriaco e incontrollabile. Solo davanti alla macchina da presa, l’attore sembra concentrarsi per dare un qualche senso al suo essere nel mondo. Spente le luci, Belushi continua la sua lenta autodistruzione. Collabora con Spielberg, Apted e -nel 1981- con Avildsen per “I vicini di casa”, dove interpreta la parte di un paranoico ossessionato dal fatto che qualcuno possa violare la sua privacy. Sarà uno degli ultimi lavori di John. Nonostante gli eccessi, la vita non proprio esemplare, è davvero impossibile separare l’uomo dal mito. La sua morte ha lasciato un vuoto nel mondo del cinema e tanta, tanta amarezza.

Emiliana Cristiano

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