Inchiesta sullo Ius Soli e il ministro Cecile Kyenge

Cécile Kyenge, all'anagrafe Kashetu Kyenge (/seˈsil ˈkjɛŋge/[1]; Kambove, 28 agosto 1964), è una politica italiana di origine congolese, ministro dell'integrazione del Governo Letta.

Cécile Kyenge, all’anagrafe Kashetu Kyenge (/seˈsil ˈkjɛŋge/[1]; Kambove, 28 agosto 1964), è una politica italiana di origine congolese, ministro dell’integrazione del Governo Letta.

Innanzi tutto è d’obbligo spiegare l’antefatto che porta alla nascita di quest’articolo.
Il nuovo ministro nero dell’immigrazione, Cecile Kyenge, ha tentato di proporre quello che è il suo cavallo di battaglia, ossia il criterio dello ius soli, come definizione di cittadinanza italiana: in un primo tempo lo ha proposto nella sua interezza radicale, secondariamente ha avvertito che ci sarebbero stati dei limiti.
Lo Ius Soli considera come criterio di cittadinanza, il solo fatto che il bambino nasca sul territorio italiano, anche se casualmente e da due genitori extra-comunitari.
Gli unici stati nel mondo che seguono queste regole in modo ortodosso, sono gli Stati Uniti, il Canada, l’intero continente sudamericano e il Pakistan.
Solo alcuni stati europei seguono questa legge (Grecia, Francia, Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Finlandia e Germania)  ma, a differenza degli altri continenti, hanno delle limitazioni ben precise: l’individuo deve essere vissuto stabilmente per  5 ani nella nazione da cui vuole la cittadinanza e  i suoi genitori, al momento della nascita, devono  possedessero almeno  un permesso di soggiorno.

Si contrappone allo Ius Soli lo Ius Sanguinis, ossia la possibilità che l’individuo abbia la cittadinanza, solo se almeno uno dei due genitori è già cittadino: Il resto degli stati europei segue questo criterio e in particolare l’Italia, anche se ammette lo ius soli solo, quando la persona ha 18 anni ed è figlio d’ ignoti.
L’inchiesta ha individuato un cospicuo numero di stranieri residenti in Italia (o abituali frequentatori del nostro paese) e ha chiesto un parere sulla nuova legge sulla cittadinanza che vorrebbe promulgare il ministro Kyenge, secondariamente sono state raccolte le impressioni sull’incarico allo  stesso ministro di colore.
Secondo i risultati dell’inchiesta, il 70 % della gente intervistata, vorrebbe lo Ius Soli integrale, senza alcuna modifica.
Semplicemente per una forma di comodità e perché ritengono una questione di giustizia che ci sia questa possibilità: incuranti probabilmente della responsabilità economica che potrebbe gravare sull’Italia una decisione di questo genere.

Alcune di queste opinioni sostengono, chiaramente sbagliando, che in tutta Europa lo Ius Soli è considerato al 100%, senza limiti: addirittura Fernando (Spagna) sostiene che bisognerebbe seguire le regole del suo paese, ma in realtà è male informato perché la Spagna segue interamente lo Ius Sanguinis.
La maggior parte delle persone che accetta lo Ius Soli seppur vincolato, traccia già i paletti, soprattutto per evitare che l’Italia diventi un gran crogiolo di culture (tanti sostengono che non abbia la conformità degli Stati Uniti d’America): la maggior parte impone la cittadinanza al compimento dei 18 anni, altri solo se lo desiderano i genitori e addirittura Laura ( Svizzera) propone un pagamento per chi vuole la cittadinanza, poiché “ tutto quello che  si vuole avere, non lo si ha gratis”.
Esiste uno striminzito 4% che non vuole neppure un doppio documento, perché patriotticamente si vuole sentire solo del suo paese d’origine.
Simbolico è il caso di Lilian (Colombia) che non solo non accetta il doppio passaporto per patriottismo ma addirittura sostiene che tutti i ministri debbano essere bianchi e italiani, perché siamo in Italia.
Spicca il caso di Ana Maria (Romania) che evidentemente si sente italiana perché non accetta assolutamente stranieri in Italia.
La percentuale è esigua perché ormai interessa più la propria situazione economica che un acceso nazionalismo.

La seconda domanda verteva sull’effetto che può fare in uno straniero, l’idea di un ministro di colore.
Una maggioranza d’indifferenza del 46% chiarisce che nonostante sia stata scelta la pelle nera per tentare rappresentare gli extra comunitari, ovviamente non tutti gli extra comunitari     sono necessariamente  neri ( per cui alcuni non si sentono rappresentati) e che, eccetto che per gli africani, l’importante è che il ministro sia efficiente.
Questo significa che non è troppo apprezzato il simbolo ma molto di più le sue idee e ed effettive azioni.

Davanti ad un 42% totalmente entusiasta del ministro Kyenge, persiste ancora un 12% di totale razzismo, che non concepisce l’idea di avere una “ coloured” nella classe dirigente.
Simbolico è la motivazione di Razje ( Albania) che sostiene “ mio fratello è stato derubato da un nero, io ho perso lavoro a causa di un nero ed ho perso un appartamento a buon prezzo a causa di neri che facevano baccano”.
L’unica rarità è la risposta di Arame ( Senegal) che non ritiene maturo avere una ministra di colore perché questo non farebbe altro che aumentare il razzismo già alto in Italia.

Antonio Gargiulo

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