Giovanottismo e bimbiminkia applicati alla politica: piccole considerazioni sul Sai Baba genovese


Beppe Grillo sulla copertina de "L'internazionale"

Trionfo del giovanottismo? Lotta agli sprechi della politica? Rinnovo della classe politica e scopa in mano per pulire il Parlamento e le Istituzioni dai soliti vecchiacchi puzzolenti che non si lavano? Aria nuova nella politica italiana? Oppure demagogia spicciola applicata ad una politica che la si vorrebbe più ammantata di Woodstock-stile e meno incentrata sui tradizionali metodi di conquista del consenso? Alla luce delle questioni che vengono poste sul tavolo delle analisi politiche, appare evidente che, alla luce del successo del Movimento Cinque Stelle e del generale sommovimento a cui è sottoposto il sistema partitico italiano, è innegabile che esistano risposte che chi si occupa di analizzare gli andamenti del quadro politico è tenuto a dare. La mia posizione su Beppe Grillo è stranota (alcune cose sono espresse QUA), ma alla luce di svariate reazioni scomposte che ho visto porre in essere da alcuni adepti del Sai Baba nostrano (presto una raccolta di quelle che più ricalcano lo stile-Santanché), è opportuno ribadire che il fenomeno del grillismo presenta tutta una serie di limiti che coincidono con alcune cose lampanti ma che raramente vengono messe in evidenza.

Punto primo. Il Movimento Cinque Stelle si è etichettato come forza politica “antisistema” (non si capisce se in riferimento al sistema politico o al sistema partitico), tesa a canalizzare la generale insoddisfazione di un elettorato tendenzialmente progressista ma che sembra aver perso i propri vecchi riferimenti politici con la crisi della galassia della sinistra radicale e del PD stesso. E lo fa attraverso slogan semplici, chiari e netti, che anziché parlare alla testa puntano più che altro alla pancia: rientrano in questo contesto i “Vaffanculo day”, gli slogan contro la Partitocrazia, l’ardente desiderio di “nuovo” urlato ai quattro venti. In salsa ecologista e populista (“destra e sinistra sono tutte uguali”). Proprio lo stesso modo di agire che abbiamo visto emergere un ventennio fa sulla scena politica italiana, con la Lega prima e con Forza Italia dopo. Stessi concetti, stessa demagogia. E’ inconfutabile che, se pure non siano la stessa cosa, precise e puntuali rispetto a Forza Italia e Lega Nord sono le modalità di start-up” nel sistema partitico italiano. Filo rosso che passa attraverso il concetto di “politica del fare”, quello di “politici ladri” o del cappio agitato in Parlamento, quello di “rifiuto delle ideologie” e quello del “nuovo” rappresentato dalla radicale necessità di rinnovamento di un sistema caratterizzato dalla presenza delle “vecchie cariatidi della politica”. E’ possibile negare che il M5S abbia fatto proprie queste “issues”?

Secondo. Altro aspetto grillista quantomeno discutibile risiede in uno slogan affascinante: “una testa, un voto”. Uno slogan che sottende una democrazia reale, lontana da lobbies e gruppi di potere in grado di condizionare le decisioni politiche preso al livello più alto. Siamo sicuri che sia così? Il dubbio c’è ed è alimentato dalla conoscenza di alcune strutture di potere decisamente influenti che guardano decisamente di buon occhio ad un fenomeno come il movimento grillino. Basti vedere il legame che risiede tra la Casaleggio Associati, società che gestisce l’intera comunicazione dell’entourage di Beppe Grillo, blog compreso, e la banca Rotschild. Chi sta dietro Grillo sembra aver adottato

una strategia di costruzione del consenso vincente, specie se si considera il ruolo di internet nel mondo del terzo millennio (ruolo tutt’altro che secondario): sosteniamo il nostro punto di vista, ma lasciamo che a sostenerlo siano dei comuni cittadini, tale da far percepire quella che nei fatti è la nostra voce come la voce del popolo. E lo facciamo usando la rete (blog, social network, chat…): universo che racchiude in sé l’apogeo tanto della (apparente?) democraticità, quanto della manipolabilità.

Terzo. Stiamo ai fatti e lasciamo perdere quelle che possono essere percepite come dietrologie, focalizzandoci un istante sul programma stesso del Movimento Cinque Stelle. Provate a leggerlo e vi troverete la “summa” di tre o quattro cose:

  • 1) la parola “abolire” che ricorre costantemente, senza che si propongano soluzioni alternative sul “come” abolire e con quali risorse. Vero è che le voci da abolire sarebbero capitoli di spesa. Benissimo. Resta il fatto che nel momento in cui si abolisce la legge Biagi (unica voce di politica del lavoro esplicitamente menzionata, dopodichè STOP) cosa avrebbero intenzione di fare? Quale politica alternativa adotti? Come ci si atteggerebbe rispetto all’intervento dello Stato in questo settore politico, ad esempio? Si procederebbe verso ulteriori forme di precarizzazione del lavoro o si cambierebbe registro? E l’Unione Europea? Come la metterebbero con i vincoli comunitari? Lettera morta.
  • 2) il costante riferimento ad internet, che ricorre pressoché in tutte le voci del programma grillino. Le ragioni le abbiamo già analizzate: senza la rete, il progetto che sta dietro alla presunta genuinità movimentista difficilmente sarebbe praticabile;
  • 3) il generico abbattimento dei costi della politica. Recuperare soldi veri dall’abbattimento dei suddetti costi più che essere inutile (anzi, è anche più che auspicabile!) coincide un po’ come raccogliere un bicchiere d’acqua in un lago, visto che da qualche decennio l’economia italiana, il debito pubblico italiano per meglio dire, è in mano ad investitori privati stranieri che ci terranno sempre più in ostaggio man mano passeranno gli anni, a meno che non si decida di rivedere una volta per tutte la tagliola dei parametri di Maastricht. Così come appare quantomeno insufficiente e tautologica la risposta grillina in tema di miglioramento della PA: la lotta alla corruzione nell’amministrazione pubblica è già abbondantemente garantita dalla legge n. 165 del 2001 (testo unico sugli impiegati civili dello Stato). Nessuna parola sulle assunzioni e sul fabbisogno di personale e sulle modalità di nomina dei dirigenti, cose che influiscono direttamente sulla determinazione di un tipo o di un altro di P.A.;
  • 4) la forte trasversalità che caratterizza il programma stesso. Qualcosa in più va detto proprio a proposito della trasversalità grillina, proprio sulla base del programma. Come mai non una parola viene detta sulle tematiche davvero polarizzanti e che determinano le scelte concrete dell’elettore quando si trova nella cabina elettorale? Come mai non una sola parola si legge a proposito di economia, lavoro, previdenza, amministrazione pubblica? Questo non schierarsi su tematiche di una centralità unica è quantomeno sospetto. A tutti piacerebbe un sistema rifiuti-zero! A tutti farebbero comodo città cablate al 100% con il wi-max! Ma perché il Movimento Cinque Stelle non ci parla delle politiche del lavoro o della previdenza sociale? Forse perché schierarsi, in un modo o nell’altro, su queste cose farebbe rompere definitivamente il giocattolo? Ed in merito al tipo di politiche economiche da adottare (spesa pubblica? Quanta? E quante aliquote? Cuneo fiscale-contributivo? Quoziente familiare? Si privilegerebbero politiche di detrazioni o di deduzioni?) non si riesce a leggere nulla. Se non qualcosa sui cda delle imprese pubbliche (pare che il problema principale siano le nomine degli a.d., pensate un po’!) o sui monopoli di fatto. Nulla che faccia realmente “politica”, che sposti gli equilibri o che polarizzi realmente. Su questo punto occorre riflettere molto. E dovrebbe farlo specie chi vota il M5S definendosi progressista.

Una cosa va detta, infine, sul finanziamento pubblico ai partiti. Grillo e chi sta dietro di lui ne propone l’abolizione. Tradotto: chi avrebbe i soldi potrebbe permettersi campagne elettorali faraoniche e senza limiti; chi ha risorse economiche limitate o nulle è automaticamente fuori dal circuito politico. La luna va osservata da entrambe le facce. Se a voi sta bene, sta bene a tutti.

Alla fine della fiera, la cartina al tornasole del populismo demagogico grillino qual è? Il rifiuto di appoggiare – dietro lo slogan da bistecca “destra e sinistra sono tutte uguali” –  almeno informalmente candidati come Pisapia e De Magistris che svariati punti in comune con il loro programma ce li hanno. Segno tangibile che non è vero che “destra e sinistra sono tutte uguali”. Vuoi vedere che a Grillo di realizzare almeno un punto del “programma” non frega un emerito tubo?

Paolo Bordino

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