Freddie, “YOU are the champion”

Freddie Mercury negli anni Ottanta

Freddie Mercury. Freddie come Farrokh, nome parsi, di origine indiana come la sua famiglia. Mercury come Mercurio, dio greco-romano dalle ali ai piedi, custode dei commerci e patrono dei ladri, dei viaggiatori e dei bugiardi, di cui si parla in My Fairy King. Ineccepibile, la scelta del nome d’arte, perché se Mercurio è il messaggero degli Dei, Freddie Mercury è stato – ed è tuttora – un messaggero, se non “il” messaggero per eccellenza, della musica rock nel mondo. Frontman ineguagliabile, paragonato solo a Mick Jagger dei Rolling Stones, personaggio mitologico quasi quanto l’ispiratore dell’eccentrico suo soprannome, con all’attivo oltre settecento concerti in quasi 30 paesi e “immortalato” – è il caso di dirlo – in più di cento statue sparse in giro per il mondo, come forse nemmeno il dio Mercurio: Freddie Mercury è davvero un divo intramontabile dall’irresistibile carisma, prima ancora che dalla notevole potenza canora, che nemmeno l’AIDS è riuscito a sconfiggere, che ancora manda in delirio fans postumi, che la musica difficilmente riuscirà a dimenticare.

 Nato (1946) nella Zanzibar britannica da una famiglia indiana migrata in Africa sull’onda delle esigenze colonialistiche, Farroukh Bulsara trascorre l’infanzia sulle coste africane e buona parte dell’adolescenza in India, dove già si distingue per il talento musicale, oltre che nello sport e nel disegno, per approdare, appena diciottenne, in Europa, a Middlesex, vicino Londra, dove la famiglia si trasferisce in seguito alla rivoluzione africana anticoloniale che darà origine all’attuale Tanzania. L’Inghilterra degli anni Sessanta gli regala, da un punto di vista musicale, l’esperienza che la musica indiana, di cui pure subì il fascino e l’influenza, non aveva saputo dargli: durante gli studi all’Ealing Art College, dove si diplomerà in “arte e design”, Farroukh collabora con numerose band, dagli Smile – dove incontra Brian May – agli Ibex – con cui affronta per la prima volta il palcoscenico – fino alla nascita dei Queen, nome fortemente voluto da Bulsara per il suo “potenziale visivo” e a dispetto delle “connotazioni gay” che inevitabilmente suggeriva. Eppure all’epoca Freddie Mercury (proprio in quegli anni nasce lo pseudonimo che lo renderà celebre) non sapeva ancora di essere omosessuale: la scoperta avverrà anni dopo, e dopo una convivenza durata ben sette anni con Mary Austin, che nonostante tutto gli resterà accanto fino alla morte, in una sorta di “matrimonio” fraterno che durerà tutta la vita.

Gli anni Settanta sono estremamente prolifici per Freddie Mercury: l’eccentricità regna sovrana nei concerti dei primi Queen, che l’impareggiabile frontman riesce a trasformare in dei veri e propri spettacoli teatrali grazie all’innato talento da palcoscenico; la stessa eccentricità che è causa probabilmente di un rapporto estremamente conflittuale con la critica, ampiamente compensato però dai successi di pubblico ottenuti dalla band durante le esibizioni live, in cui il pubblico viene attivamente coinvolto grazie a una serie di espedienti ideati dallo stesso “Freddie” Bulsara, come lanciare rose tra gli spalti e intonare insieme agli spettatori l’inno nazionale inglese. Gli anni Ottanta sono quelli della consacrazione del mito: Freddie si taglia i capelli e si fa crescere i baffi, si lancia in una serie di esperienze, musicali (anche da solista) e non, sperimentando la recente scoperta dell’omosessualità in una miriade di avventure di una notte, una delle quali gli sarà purtroppo fatale.

Criticato aspramente dai media per aver tenute nascoste le sue condizioni di salute, alla fine degli anni Ottanta Freddie Mercury abbandona i palcoscenici per ritirarsi a vita privata: l’Aids lo stroncherà il 24 Novembre del 1991, a soli 45 anni. Una vita breve dall’eredità inestimabile. Cos’è che ancora oggi tiene vivo il mito di Freddie Mercury? Il suo indiscusso talento musicale, certo; la lungimiranza nella scelta di portare all’estremo le sperimentazioni canore, fino a sovrapporre centinaia di registrazioni vocali in brani dal respiro universale come Bohemian Rapsody. Ma soprattutto la natura controversa e stridente di un’anima che appare come smarrita, la conflittualità insita nella sua identità, sessuale e non, nella sua appartenenza culturale, nella difficile gestione di una malattia, l’AIDS, che all’epoca era ancora considerata una disgrazia, motivo di vergogna e causa di isolamento sociale.

Freddie Mercury: un uomo capace di mostrarsi al pubblico travestito da casalinga (disperata?) smentendo allo stesso tempo che si tratti di un manifesto omosessuale. Freddie con la sua giacca gialla e i pantaloni bianchi a righe rosse, Freddie il pianista, Freddie con mantello e corona regali, il re del rock osannato dalla sua corte di fans; e, dall’altra parte, l’uomo generoso e modesto, schivo e quasi timido nell’intimità della famiglia e della cerchia più ristretta di amici, affascinato dal denaro solo per ciò che può comprare, consapevole del proprio inimitabile carisma senza essere superbo, capace di ironizzare su se stesso affermando contemporaneamente e con forza e orgoglio la propria contraddittorietà come uno splendente vessillo, o una medaglia, quella che si dà solo ai “campioni”. E Freddie Mercury lo è stato davvero un campione. Un ineccepibile campione di vita.

Giuliana Gugliotti

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