Arabia Saudita: Hofuf, polo industriale e emancipazione femminile

La vendita di lingerie è uno dei pochi lavori concessi alla donne, ma qualcosa sta cambiando.

L’Arabia Saudita ci prova ancora. L’idea di emancipare le donne e far emergere le loro capacità sembrano essere le prerogative per questo paese. Non si tratta di aggirare la Sharia, ma di circoscrivere i “danni” che quest’ultima ha creato nel corso degli anni al popolo femminile e alla società islamica stessa. La città si chiamerà Hofuf e sarà un polo industriale “in rosa”. Definizione, questa, che non vuole assolutamente andare a sminuire il progetto. Cinquemila saranno i posti di lavoro suddivisi in prodotti tessili, alimentari di trasformazione e farmaceutici. Questo sarà solo il primo di una lunga serie di progetti.

Uno sviluppo necessario quello messo in atto dal Saudi Industrial Property Authority, sotto “consiglio” di una delegazione di donne. Donne preparate, con un’istruzione radicata, con capacità intellettive che nulla hanno da invidiare a quelle degli uomini. Donne che – come dichiarava la Direttrice della Commissione per le donne rifugiate, Sarah Costa – possono emanciparsi solo attraverso l’istruzione e la conseguente indipendenza economica.

Saleh al-Rasheed, vice direttore generale della società sopracitata, ha evidenziato come l’universo femminile saudita sia in grado di far valere la propria efficienza «adattando i loro interessi, la loro natura e capacità». Hofuf, per rendere ancora più semplice l’evoluzione sociale, sarà costruito accanto ai quartieri residenziali non arrecando “fastidi” religiosi. Il polo industriale verrà realizzato nell’area est e i lavori inizieranno tra circa un anno. Come specifica anche la portavoce di questo gruppo di nuove lavoratrici, Hussa al-Aun: «La nuova città industriale deve avere un centro di formazione specializzato per aiutare le donne a sviluppare i loro talenti e la loro formazione per lavorare nelle fabbriche. Questo è essenziale per ridurre la disoccupazione tra i nostri laureati di sesso femminile». Al progetto si è voluto trovare uno scopo nobile, quando – alla base – ci sono unicamente interessi economici. Si voleva solo spingere verso un incremento delle finanze del Paese, ma l’importante sarà il risultato sociale che si riuscirà ad ottenere. Ad ognuno i propri interessi e diritti.

Ma a combattere contro la Sharia non sono solo le laureate. Hanno lottato le atlete saudite per partecipare alle Olimpiadi di Londra di quest’anno (e ricordiamo con piacere la risoluzione del problema della judoka Wodjan Ali Seraj Abdul Rahim Shah Khan che, con il suo “velo speciale”, ha potuto mostrare le sue capacità nella categoria della disciplina sportiva a cui si era presentata). Ma c’è ancora tanta strada da fare. Le donne non possono guidare. Le lavoratrici rappresentano il 15 percento della forza lavoro totale del Paese; ovviamente per quel che le è concesso, come – ad esempio – commessa in negozi di cosmetici e lingerie. Notizia di pochi mesi è la possibilità, nel 2015, di sentire anche il parere femminile per quanto concerne la politica. Sono tanti minuscoli passi avanti verso una prospettiva di vita diversa per queste donne rinchiuse in una mentalità sociale e religiosa radicate nel maschilismo.

Rey Brembilla

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