Ad Oslo vince la cultura campana

Un’immagine degli scavi effettuati a Pollena Trocchia

Quest’anno la European Association of Archaeologists – la più grande associazione europea degli archeologi – ha deciso di conferire l’Heritage Prize, assegnato ogni anno all’individuo o istituzione per il contributo straordinario mostrato nel proteggere e divulgare i Beni Archeologici in Europa, al Sindaco di Pollena Trocchia, Francesco Pinto ed all’Archeologo Direttore dell’Apolline Project, Girolamo Ferdinando De Simone.
Nello specifico, il premio, che sarà consegnato ad Oslo durante la seduta plenaria del XVII Convegno Internazionale, viene conferito al sindaco di Pollena Trocchia per lo straordinario lavoro dell’Apolline Project, progetto di ricerca che mira a rivalutare i beni artistico-culturali del territorio a nord del Vesuvio – territorio ricco di storia e finora rimasto in ombra, forse a causa delle ben più note mete turistiche, Pompei ed Ercolano – e per la fattiva partecipazione del suo Comune alla restaurazione di una villa romana con terme, situata nella Masseria De Carolis, che, fino a qualche tempo fa, era soltanto una discarica abusiva a cielo aperto.

 La storia del neonato – anzi, rinato –  sito archeologico inizia molti anni fa: dopo aver avuto la sfortuna di tornare alla luce sotto gli occhi di un gruppo di operai edili, che tentarono di distruggerne i resti per scongiurare il blocco dei lavori in cantiere, fu momentaneamente salvato dalle illecite (e indecenti) ruspe grazie all’intervento della Soprintendenza Archeologica; tuttavia, poco tempo dopo, dimenticata la scoperta, la villa romana iniziò ad essere seppellita da rifiuti di varia natura, sversati illegalmente dai soliti ignoti. Soltanto nel 2004, quando un gruppo di archeologi recatisi sul territorio alla ricerca del sito ha ritrovato e denunciato lo scempio ambientale e culturale, è iniziata la bonifica dell’area che, oggi, raccoglie i primi successi: sono, infatti, tornati a risplendere pavimenti antichi, straordinari decori e, per la gioia degli studiosi, veri e propri marchi di fabbrica che, apposti e conservati sulle pavimentazioni, hanno permesso di datare la struttura agli anni successivi al 79 d.C.
Tale scoperta risulta di grande valore dato che, fino ad oggi, si riteneva che la zona fosse rimasta disabitata per molti anni dopo l’eruzione del Vesuvio che distrusse le vicine Pompei ed Ercolano, mentre la villa della Masseria De Carolis sembra sia stata abitata per lungo periodo e sepolta da eruzioni successive, tra il 472 e il 512 d. C.

L’equipe di ricercatori, tra l’altro, lungi dal concentrarsi soltanto sui fasti del passato, ha studiato il territorio anche dal punto di vista, decisamente più attuale, del rischio vulcanico: la vulcanologa dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Annamaria Perrotta, ha affermato, a tal proposito, che è stato possibile “studiare l’impatto sull’ambiente delle eruzioni successive al 79 d.C., dove i materiali che si depositano lungo i fianchi del Vesuvio sono una calamità da tenere ben presente”; mentre il suo collega Claudio Scarpati, ha precisato che obiettivo dell’Apolline Project è anche quello di sviluppare “conoscenze e tecniche per la mitigazione della pericolosità vulcanica in un’area ad elevato rischio”.

L’operato dell’equipe dell’Apolline Project, che prende nome proprio dal paese di Pollena Trocchia – di cui Apolline è l’antico nome – non si fermerà con il recupero della villa romana, poiché punta allo studio e alla riscoperta del patrimonio culturale della zona vesuviana settentrionale fino a Nola. Attualmente i maggiori promotori del progetto, che ha visto giungere in Italia ricercatori e studiosi di ogni nazionalità (alla restaurazione della villa della Masseria De Carolis hanno, infatti, partecipato, tra gli altri, giovani americani, inglesi, tedeschi e spagnoli) sono il Comune di Pollena Trocchia, le Università napoletane, “Suor Orsola Benincasa” e “Federico II”, e la University of Oxford.
Grazie, dunque, ad un’efficace collaborazione tra Istituzioni locali, istituti di formazione e giovani studenti – che hanno lavorato con passione, impegno e dedizione – sembra possibile una rivalutazione concreta di un patrimonio territoriale troppo spesso dimenticato, offuscato dall’indifferenza delle istituzioni e dall’incuria di alcuni cittadini, che spesso riescono a fare più danni delle intemperie e del naturale scorrere del tempo.

Finalmente in Campania giunge un premio per l’impegno nella salvaguardia della storia e della cultura locali: dopo il tragico crollo di Pompei – che costò non poche critiche al governo nazionale e all’allora ministro Bondi, rientrando tra le cause delle sue successive dimissioni – sembra fondamentale legare l’immagine dell’intera regione al successo dell’Apolline Project e del rinato sito archeologico che, si spera, permetterà un futuro incremento del turismo campano.

A tal proposito mi piacerebbe ricordare che, quando il Ministro Tremonti affermò che“con la cultura non si mangia”, lo scrittore Umberto Eco, indignato, gli rispose: “… Sempre mi domando come mai l’Italia, di cui si dice che abbia circa il 50% delle opere d`arte esistenti al mondo (per non dire del paesaggio, che non è male), abbia meno indotto turistico della Francia o della Spagna, e naturalmente di New York. C’è qualcosa che non funziona, qualcuno che non sa come far soldi (e mangiare) con la cultura nazionale”. È evidente, infatti, che, nonostante la gestione inadeguata del patrimonio artistico-culturale nazionale, sono molti i cittadini italiani che, con la cultura, non soltanto ci mangiano, grazie al turismo e ai servizi che intorno ad esso si sviluppano, ma ci convivono con orgoglio, certi di essere anche loro, seppur indirettamente, proprietari di una inestimabile ricchezza.

Sara Di Somma

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