Aborto: tra scienza e chiesa, la donna non ha voce

Nessuno ha il diritto di giudicare. L’aborto, come altre “problematiche di stallo” dei nostri tempi, è un argomento da affrontare tenendo conto di tutte le variabili non calcolabili che entrano in contatto. L’aborto è società, scienza, politica, chiesa e psicologia. Ognuna di loro si pronuncia facendo leva sull’opinione pubblica adoperando il proprio carisma.

La definizione della parola è: “interruzione della gravidanza prima che il feto sia maturo”. La voce “maturo”, nella terminologia medica, si proietta in un periodo minimo di 6 mesi. Il raggiungimento di tale lasso di tempo permette al nascituro una vita extrauterina. L’aborto può essere naturale oppure procurato (detto anche IVG -interruzione volontaria della gravidanza). È quest’ultimo al centro della disputa tra chiesa e scienza. Diverse le tecniche: le più diffuse sono quelle dell’isterosuzione – ovvero aspirazione del feto attraverso cannule nel canale cervicale della donna – e del raschiamento, attraverso la quale si procede ad uno svuotamento della cavità uterina. Discutibile per molti è anche l’utilizzo di farmaci contragestativi. Uno di questi è la pillola RU486 (pillola del mese dopo) che ha diviso l’opinione pubblica per mesi.

Chiesa e scienza si dividono per incontrarsi solo in un punto. È consentita l’obiezione di coscienza. Il Papa, e l’Istituzione che rappresenta, da sempre lotta per il diritto alla vita. Madre Teresa di Calcutta si pronunciava in questi termini: “L’aborto è il più grande distruttore della pace perché, se una madre può uccidere il suo stesso figlio, cosa impedisce che io uccida te e tu uccida me? Non c’è più ostacolo”. Parole forti che hanno inciso nella società a tal punto da portare le stesse donne a giudicarsi tra di loro. La scienza va oltre e pone diverse “clausole” tali da rendere accettabile una decisione così drastica. L’aborto terapeutico e quello preventivo seguono la stessa logica della cessazione della vita umana, differenziandosi semplicemente per la giustificazione. Fino al quattordicesimo giorno, però, il feto non viene considerato ancora come una persona, per cui il nascituro non ha diritti in quanto tale.

Diritti e moralità, quando si parla di aborto, vanno in contrasto. La legge 194 cerca di stabilire un equilibrio. Novanta giorni è il termine che la legge consente alla donna per interrompere volontariamente la gravidanza (come si legge nell’ art.4 : “che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”). L’art. 6 della stessa legge pone due condizioni per l’interruzione dopo i circa tre mesi: in caso di pericolo di vita della futura mamma e in caso di malformazione del nascituro. L’obiezione di coscienza è prevista per il ginecologo, ma non per il personale sanitario qualora in pericolo sia la vita della donna.

E la donna in tutto questo “chiacchierare” quale voce ha? Si tratta di una  decisione sempre combattuta, che sia volontaria o terapeutica. È una vita che si spegne e tutto si decreta con una firma su un foglio, stereotipo di altra burocrazia. Diverse ricerche hanno dimostrato che gli stati di depressione e stress legati all’aborto si differenziano. Qualora sia stato un aborto involontario, gli psicologi hanno riscontrato un disagio per i sei mesi successivi all’evento, un’elaborazione del lutto per una perdita non voluta. Cinque anni e anche più è invece il tempo per un aborto programmato. Lo stress, in tal caso, è alto e mette in serio rischio la salute psicologica della donna.

Oggi si parla di un accordo tra scienza e chiesa. Gli esperti della Società Italiana di Neonatologia hanno richiesto un abbassamento del limite per l’aborto terapeutico. A quanto pare due settimane (da 24 a 22) è un accordo accettato di buon grado anche dalla chiesa. Un dubbio però rimane. Non si capisce perché, se l’intervento deve essere subito dalla donna, continuano a parlare gli uomini, di fede e non, che vedono la questione in maniera estraniante e distaccata.

Roberta Santoro

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