Santo o bugiardo? Roberto Saviano e le sue verità nascoste

Osannato dai più come un oracolo, conosciuto da qualcuno come un bugiardo. La storia del successo di Roberto Saviano, tristemente pompato dai media, insegna che la verità non sta mai solo da una parte, e che spesso si cela dietro menzogne e non detti. A noi spettatori di questo teatrino che è la celebrità, tocca almeno il compito, in onore di quanti per amore della verità hanno pagato davvero, di non smettere mai di esercitare la nostra capacità critica, di non smettere mai di dubitare.

Nell’incertezza di questi tempi moderni, solo uno stolto può credere che la verità stia da una parte sola. Come ci insegnano i saggi, quasi sempre la verità sta nel mezzo, in quel limbo di sottintesi e non detti, omissioni e bugie, che molto spesso sono più veritiere delle verità proclamate a gran voce.

La lezione l’abbiamo imparata un po’ tutti, soprattutto quando si tratta di personaggi pubblici. Sappiamo tutti che esiste l’altra faccia della medaglia, quella oscura, quella che non viene mostrata ai più e che molto spesso nasconde inganni, accoglie compromessi, cela menzogne che si fa di tutto per non far venire alla luce. Questa lezione sembrano averla imparata i più, ma non i fans di Roberto Saviano.

Da quando, nel 2006, Gomorra ha superato i 10 mln di copie vendute nel mondo (diventando poi anche un film di successo, girato proprio nei luoghi di camorra), di cui 2 mln 250mila solo in Italia, generando (verità o leggenda?) un’invasione mai vista prima di turisti per le strade napoletane (quelle del centro storico, sì, ma di Secondigliano; nei quartieri residenziali, sì: a Scampia), dove con libro di Saviano alla mano lo sprovveduto, impavido turista tipo “avventuroso” se ne andava in giro domandando alla gente dove potesse trovare il Terzo Mondo o visitare le fabbriche parallele, dare un’occhiata ai Visitors o fare un tour a Parco Verde, ebbene, da allora, da quando con il suo collage sul Sistema camorristico, che altro non è – e lo dicono gli esperti – una raccolta di articoli di giornale e informazioni varie reperite per vie assolutamente risapute e accessibili a chicchessia, Roberto Saviano ha fatto il botto, Roberto Saviano è diventato l’uomo simbolo della lotta alla criminalità organizzata nel mondo: l’uomo minacciato dalla camorra che paga il suo gesto di denuncia vivendo sotto scorta ma che nonostante la paura non smette di denunciare “la verità” ovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltare, sui giornali, nelle trasmissioni tv, in pubblici comizi nelle piazze e nelle librerie, l’indiscusso, indiscutibile paladino della giustizia e della legalità, modello di coraggio e di virtù, orgoglio partenopeo, acclamato come Maradona e rispettato come san Gennaro, un uomo senza precedenti che, da solo, ha avuto il coraggio di aprire la porta e gettare la luce sugli oscuri traffici della camorra che infetta la nostra splendida terra, oscura il sole, contagia tutti noi.

Encomiabile, certo. Che Roberto Saviano sia stato il primo a realizzare un’opera omnia sulla camorra, svelandone funzionamento e meccanismi, non è certo in discussione. Che quest’atto sia stato malvisto da alcuni esponenti della criminalità organizzata, in particolare dal clan dei casalesi, che pare l’abbia condannato a morte, salvo poi dedicarsi nell’immediato ad affari di maggiore urgenza che non fare fuori uno scrittore, come per esempio, negli anni, realizzare altre 2 o 3 esecuzioni (Domenico Noviello, per esempio, imprenditore di Baia Verde ribellatosi al pizzo e giustiziato, nonostante fosse sotto protezione, il 20 maggio del 2008; oppure Raffaele Granata, padre del sindaco di Calvizzano ucciso sempre nel 2008 e sempre perché si rifiutava di pagare il pizzo; e ancora Angelo Vassallo, il sindaco attivista e ambientalista di Pollica ucciso nel 2010, probabilmente – ma le indagini sono ancora in corso – proprio perché dava fastidio alla camorra), tutte successive alla data in cui Roberto Saviano è stato posto sotto scorta (2006).

Allo stesso modo è vero che con il suo primo libro, che è subito diventato un best-seller, Roberto Saviano ha attirato l’attenzione internazionale, dei media e della gente, su Napoli e sulla Campania, raccontandole come un far west preda della criminalità organizzata, una terra di nessuno in cui la Camorra spadroneggia a piacimento, in cui il pericolo si cela dietro l’angolo (perché è facile rimanere uccisi per sbaglio in un agguato o in un regolamento di conti), provocando di fatto con l’uscita del suo libro, in una sfortunata concomitanza con uno dei picchi dell’emergenza rifiuti, l’arresto quasi totale della macchina turistica ed economica dell’intera regione.

Tuttavia, ciò su cui mi preme puntare l’attenzione non è tanto la credibilità di quest’uomo in quanto scrittore, giornalista e denunciatore, quanto piuttosto sul modo in cui la sua presunta credibilità venga recepita e acriticamente accettata dal popolo di seguaci della legalità, che nella sua scelta di raccontare (che cosa, poi?) ha colto l’impeto sacro di un uomo illuminato dalla ragione da osannare come un profeta. Portato alla ribalta dai media, come dicevamo Roberto Saviano è diventato un guru della cultura della legalità; ma, come si rifletteva all’inizio di questo articolo, è impossibile, o comunque altamente improbabile ritenere che la verità assoluta risieda univocamente da una parte sola. Esiste sempre l’altra faccia della medaglia, e, nel caso di Roberto Saviano, l’altra faccia della medaglia è quella delle bugie. Deliberate o commesse per distrazione o imprecisione, negli anni il paladino della giustizia, imperituro oppositore dell’illegalità Roberto Saviano, ne ha collezionate un bel po’.

La discussione in merito si riapre in seguito alla recentissima notizia che ha visto Roberto Saviano perdere la causa per diffamazione intentata nei confronti di Paolo Persichetti, giornalista ed ex br, per alcuni articoli pubblicati su Liberazione. La querela risale al gennaio 2011: gli articoli firmati da Persichetti e incriminati erano 2, e contenevano alcuni fatti di “rilevanza giornalistica”. (Clicca qui per leggere l’intera vicenda.) Noi ci soffermeremo su uno solo di questi fatti: ne “La bellezza e l’Inferno”, suo secondo libro, Roberto Saviano racconta di una telefonata avvenuta tra lui e la madre di Peppino Impastato, attivista e giornalista siciliano ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, in cui la donna l’avrebbe spinto a continuare la sua azione di denuncia della criminalità organizzata, invitandolo alla prudenza.

“Non dobbiamo dirci niente, dico solo due cose, una da madre e una da donna. Quella da madre è stai attento, quella da donna è stai attento e continua”.

In uno dei suoi articoli su Liberazione, per i quali è stato poi querelato da Saviano, Paolo Persichetti afferma, documentandosi alla fonte (ovvero stando alle dichiarazioni della nuora di Felicia Impastato), che questa telefonata non è mai avvenuta. Felicia Impastato infatti non aveva il telefono. Le telefonate le faceva a casa del figlio Giovanni, fratello di Peppino, passando per la moglie di lui. Alla quale non risulta che la signora Impastato abbia mai chiamato Roberto Saviano. Anche perché Felicia è morta nel 2004, ovvero due anni prima che l’uscita di Gomorra rendesse celebre il suo autore.

Ora, questo recente avvenimento di cronaca ha portato alla ribalta altre notizie simili, risalenti agli anni passati, che riguardano quella che sembra essere una certa tendenza dell’autore di Gomorra, se non alla spudorata menzogna, quantomeno alla “rivisitazione” della verità, o (non si sa se meglio o peggio, trattandosi di un giornalista) alla mancata verifica delle fonti. Cosa che un personaggio del suo calibro non potrebbe proprio permettersi.

Un altro episodio risale al 2010, quando nel corso del suo monologo “Il terremoto a L’Aquila” andato in onda durante la quarta puntata della trasmissione “Vieni via con me” e successivamente raccolto insieme agli altri in un volume dal titolo omonimo uscito nel 2011, Roberto Saviano racconta l’esperienza di Benedetto Croce sotto le macerie, anch’egli vittima e unico superstite della sua famiglia del terremoto che colpì l’isola di Ischia nell’estate del 1883. Travisando completamente il racconto del filosofo, contenuto nelle “Memorie della mia vita”, (1902), come si legge nella lettera di protesta inviata da Marta Herling, la nipote di Benedetto Croce Gazzetta del Mezzogiorno (clicca qui).

Ancora, sempre nel 2010, ospite al Festival dell’Economia di Trento, Roberto Saviano sollevò un vespaio affermando che la ‘ndrangheta calabrese aveva tentato, per fortuna senza successo, la scalata al settore della distribuzione delle mele altoatesine, tramite l’appoggio di alcuni mediatori trentini.

“C’è stata un’inchiesta, che potete studiare, partita dalla Calabria dove hanno tentato attraverso mediatori trentini di poter entrare, le organizzazioni aspromontine, nella gestione e distribuzione della mela trentina”.

Così aveva tuonato Roberto Saviano dal palco del Festival dell’Economia di Trento.  Peccato che quest’inchiesta non ci sia mai stata. La smentita clamorosa di Saviano è arrivata poco dopo, quando la lettera aperta di Luigi Ortolina, rappresentante del Gruppo degli agenti ortofrutticoli della Provincia di Trento in seno all’Associazione mediatori e agenti di affari della Provincia di Trento aderente Fimaa, che chiedeva giustamente al giornalista di fare i nomi dei corrotti in seno alle organizzazioni di imprenditori locali affinché fossero espulsi, ha sollevato un’indagine (stavolta sì, che c’è stata davvero) da parte dei carabinieri del Ros di Trento, che in merito alle presunte infiltrazioni aspromontine in Trentino Alto Adige hanno voluto sentire il giornalista (clicca qui per leggere l’intera vicenda). In quell’occasione il Saviano nazionale se ne è uscito dicendo che le sue affermazioni, che pure parevano tanto sicure e certe e verificate, erano solo un “monito” che voleva avere un “effetto di sensibilizzazione”, insomma: non una verità confermata dai fatti, ma un’affermazione (una supposizione, potremmo dire) da prendere con le pinze. E chissà quante altre sono le affermazioni che, uscite da quella bocca da grande oratore, ammaliatore di serpenti e di folle, vanno prese con la dovuta circospezione.

Lo sappiamo noi, lo sanno quanti sfortunatamente si sono trovati, loro malgrado, implicati o travolti nella centrifuga di menzogne (lui, che soleva citare la macchina del fango!) attivata da Roberto Saviano; lo sanno quanti della sua univocità di santo hanno sempre dubitato. Chi proprio non lo sa, o non vuole saperlo, sono i suoi sfegatati seguaci. Quelli che, nonostante tutto, continuano a venerare il mito di Roberto Saviano, con la vergognosa complicità degli organi di informazione di massa che continuano a tacere queste informazioni.

Tutto ciò, per tornare alla riflessione iniziale, insegna proprio questo: che non esiste una sola verità. Così come non esiste un solo modo di fare “camorra”. La verità non sta mai da una parte sola, anzi. Quasi sempre la verità sta nel mezzo, in quel limbo di sottintesi e non detti, omissioni e bugie, sull’altra faccia della medaglia, quella oscura, che non viene mostrata ai più, e che molto spesso nasconde inganni, accoglie compromessi, cela menzogne che tutti fingono di non vedere. Il perché è semplice: chi ha provato a smascherarle è stato messo a tacere, in tutti i modi possibili, da chi non vuole che un’altra versione della verità venga a galla.  La verità l’hanno uccisa sulla bocca di chi ha provato a dirla. A noi comuni mortali, per onorare quanti per amore della verità hanno pagato davvero (e con la vita), spetta almeno il compito di non smettere mai di dubitare.

G.G

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