Master Chef, miserabili italiani alle prese con un polipo affogato

del

Sguardi in cagnesco fra concorrenti, urla e falsa superiorità di chi si crede dio solo perchè sa cucinare un cefalo meglio del suo vicino

La televisione c’invade, ragion per cui a tutti sarà capitato di beccare, anche per sbaglio, una sola volta, in onda qualche programma sulla cucina; che fosse la sorella della signora Parodi (e spigatemi come fa a cucinare ventiquattro ore su ventiquattro ed a rimanere magra come una sua alice marinata), il tozzo pasticciere americano che crede d’essere italiano solo per il suo cognome alle prese con chili di olio, burro ed aglio, intento a cucinare intrugli di dubbia provenienza spacciandoli per siciliani o il grande ed inquietante padre di tutte le cucine del globo terracqueo Gordon Ramsey (prima di arrivare nell’etere è mai stato dietro un fornello o è sempre stato il padrone dei padroni della nouvelle cucine). Ora io non mi spiego benissimo come sia stato possibile questo boom di odience per la gastronomia, forse come i cani di Pavlov iniziamo a zampillare saliva al primo carciofino sott’olio ben servito o forse siamo così pigri da scongelare surgelati quotidianamente che ci vien voglia di qualcosa di ben cotto, anche se solo da degustare con gli occhi o forse ancora, per tutti questi motivi ci siamo solo fatti schiavizzare da otri di grasso che ci propinano via Cielo e Real Time senza possibilità di ribellione .

Oggi non m’interessa far critica alla schiavitù da tubo catodico, sono piuttosto preoccupata per quello che siamo diventati.

L’altra notte, onde evitare di ascoltare la tosse del dirimpettaio, ho messo le cuffiette e nel comodo delle coltri via Sky Go sull’Ipad mi si è presentato davanti Master Chef Australia, neanche Sky Arte dava qualcosa d’interessante e così ho deciso d’addormentarmi sul rumore dei mestoli oceanici, sono rimasta basita.

Il programma iniziava con una serie di concorrenti sorridenti che invece di guardarsi in cagnesco per strapparsi di mano il grembiule, si scambiavano consigli e suggerimenti su come meglio cucinare un’anatra, ho capito solo a metà trasmissione che coloro che sembravano simpatici e garbati conduttori erano in realtà blasonati chef giudici. Allorquando uno dei concorrenti veniva eliminato, gentilmente era accompagnato alla porta, lo si invitava a non perdere mai la propria passione, maternamente gli si consigliava come procede con una migliore cottura del pasto per non commettere un prossimo errore; dall’altra parte nessuna scena di pianti, delirii o inviti struggenti ad avere il permesso sommo di rimanere in gioco, si in “gioco” perchè a tutti sembrava chiaro cosa fosse tutto quello che li circondava “un passatempo”. Tutte le eliminazioni erano garbatamente motivate dai giudici, ogni ingresso in gara accolto con sorrisi ed abbracci leali. Durante la corsa all’accaparramento dei prodotti per la cottura della “papera alla sydneyana” non ci sono stati sgambetti, spintoni e sguardi di morte. Tutto il programma si è snocciolato così, per 45 minuti in un eccesso di civiltà indicibile ed è stato proprio mentre, stanca di tutta questa viscida squisitezza, stavo per girare canale che mi sono sentita una povera italiana, come un lampo, nella testa le immagini di Joe Bastianich che getta piatti all’aria urlando cattive parole, la saccenza di quel capellone di Carlo Cracco che caccia via gente del palco senza motivare nulla delle sue scelte, gli sguardi in cagnesco fra concorrenti, le urla e la falsa superiorità di chi si crede dio solo perchè , probabilmente sa cucinare un cefalo meglio del suo vicino di posto, grembiuli infuocati, gente gettata fuori dallo studio a calci, pianti vergognosi e preghiere per rimanere in gioco, urla, lacrime e solo una verniciata superficiale di “bravura”.

Fateci un piacere, grandi artisti della cucina italiana, provate ad ascoltare il suono del silenzio di una gallina sgozzata, prima di trasformarla in brodo.

Fiorella fiorellaq Quarto

 

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