Antonio Sibilia, Juary, Raffele Cutolo, Luigi Necco: un pittoresco episodio di calcio e criminalità

Per quindici anni (dal 1978 al 1993) Luigi Necco è stato telecronista, raggiungendo la popolarità con la trasmissione sportiva 90º minuto

Per quindici anni (dal 1978 al 1993) Luigi Necco è stato telecronista, raggiungendo la popolarità con la trasmissione sportiva 90º minuto

Pensando agli episodi di criminalità ed interessi legati al calcio odierno, è importante sorridere e rammentare quando lo sport era ancora sano e genuino.

Nel 1980, il mondo del pallone non era totalmente immacolato, poiché (di là da qualche episodio di corruzione) era appena esploso il caso del “Totonero” (il giro di scommesse clandestine che costò a famosi giocatori l’onta del carcere): lo scandalo veniva però considerato un episodio oscuro, in un mare di trasparenza.
Una tormenta ben più grave però, sembrò investire il mondo del calcio, a cavallo tra gli anni ’80 e ’81.
Un presidente di una squadra di calcio partecipò in tribunale, durante il processo al Boss della “nuova camorra organizzata”, Raffaele Cutolo: accanto al presidente sedette un ragazzo brasiliano di colore e dall’aria simpatica, è il primo acquisto della squadra di calcio dopo l’apertura delle frontiere.
Il presidente era dell’Avellino e si chiamava Antonio Sibilia, il giocatore era brasiliano e si chiamava Juary George Do Santos Neto, meglio conosciuto come “Juary”.
Durante una pausa del processo, Sibilia schiocca tre baci a Cutolo e poi invita Juary a consegnare una medaglietta d’oro all’incontrastato padrino della camorra: “A Raffaele Cutolo dall’Avellino calcio”.
Il Presidente irpino assicurerà che

«Cutolo è un supertifoso dell’Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio d’amministrazione ».

Il giorno dopo, durante la trasmissione “90° minuto”, l’inviato a Napoli e super tifoso Luigi Necco riferisce l’episodio: il 29 ottobre del 1981, poco prima della partita “Avellino-Cesena”, il giornalista sarà “gambizzato” al ristorante.
Il mandante è Enzo Casillo (detto “o’ nirone”), luogotenente di Raffaele Cutolo.
La storia assumerà contorni oscuri: Antonio Sibilia sarà processato ed imprigionato (anche per l’accusa d’omicidio nei confronti del procuratore della repubblica Antonio Gagliardi) ma le accuse si dimostreranno infondate ed il presidente tornerà ad allenare la sua amata squadra nel 1994, pur non raggiungendo mai gli anni d’oro della serie A.
L’intera vicenda poteva essere compresa fin da subito, usando la logica: semplicemente analizzando i protagonisti dell’episodio.
Eccetto un criminale autentico come Raffaele Cutolo, i protagonisti suscitano simpatia e sono rappresentanti di un’epoca calcistica.

Innanzi tutto l’Avellino: una simpatica squadra, agli inizi di una lunghissima permanenza in serie A (le magliette verdi rimasero in massima serie dal 1979 al 1988), condita dal lancio di numerosi protagonisti del calcio futuro (Tacconi, De Napoli, Colombo, Carnevale); raramente oggigiorno, le squadre di provincia hanno una tale continuità.
Il suo presidente, Antonio Sibilia fu il classico uomo genuino, e quindi capace di incappare in gaffe clamorose (come gli omaggi a Raffaele Cutolo): imponeva un codice estetico ai suoi giocatori, odiando i capelli lunghi e i monili vari (non accettò l’ingaggio dell’argentino Ricatti, poiché ostentava una folta capigliatura).
Fu ricordato per alcune gaffe clamorose: durante una cena ad un ristorante mangiò una fetta di salmone affumicato, salvo poi lamentarsi che “quel prosciutto sapeva di pesce”.
Memorabile fu uno scambio di battute con una giornalista:

Presidente: “Fummo andati in Brasile e comprammo Juary…”.
Giornalista sorridente: “Siamo…”
Presidente un po’ spazientito: “Dicevo che fummo andati in Brasile a comprare…”.
Giornalista con sorriso mal trattenuto: “Presidente… SIAMO!”
Presidente con tono iracondo: “Ma che si’ venuto pure tu?”

Il secondo protagonista della vicenda fu il brasiliano Juary o meglio Juary George Do Santos Neto.
La prima impressione al suo arrivo in Irpinia non fu felice: troppo magro e gracile per essere un vero campione.
In realtà era un’ala veloce e scattante che segnò parecchio con l’Avellino e divenne un idolo della tifoseria: non colpiva solo per l’innata simpatia e gli indumenti dai colori sfavillanti, ma soprattutto per il tipico modo di esultare (compiendo tre giri della bandiera di calcio d’angolo).
Dopo il glorioso periodo all’Avellino, il simpatico brasiliano girò diverse squadre italiane, tre team in altrettanti anni (Inter, Ascoli e Cremonese).
Simbolico del personaggio fu l’evento successivo alla sua partenza dall’Italia: dato per “bollito” si accasò al Porto, ove vinse (con personale merito) la coppa campioni nel 1987 e stupì chi lo considerava un “bomber minore”.

Il terzo protagonista fu Luigi Necco, unica vera vittima della vicenda: essendo stato “gambizzato” dalla camorra.
Necco era uno dei protagonisti “leggendari” della trasmissione “90° minuto”: sono dovute a lui numerose affermazioni, oggi d’uso quotidiano.
“Milano chiama, Napoli risponde”, era la sua tipica “overture” di cronaca; durante i mondiali del Messico del 1986, chiese a Diego Maradona se il suo celebre goal di mano all’Inghilterra fosse “ la mano de Dios o la cabeza di Maradona” (battezzando, di fatto, la rete come “mano de Dios”).

Queste tre simpatiche figure furono protagoniste di uno “scandalo” rivelatosi innocuo.
Anche il calcio allora aveva le proprie magagne, ma tutto era vissuto con naturalezza, uno scenario che è anni luce lontano da quello odierno fatto di scandali doping, scommesse e partite truccate.

Rey Brembilla

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