ULRICH NE AVEVA DI QUALITÀ

ULRICH NE AVEVA DI QUALITÀ

1200  pagine  de  “L’uomo  senza qualità”, una mole ricca di minuzia e dettagli certosini; pensiamo a  Renato Guttuso e alla  sua  arte  sociale,  ala  sua rappresentazione  della  Vucciria( noto  mercato rional-popolare  di  Palermo), opera pittorica del 1974, consente di creare un parallelo artistico, una similitudine con l’ opera di Musil: ogni  pennellata,  così  come  ogni  riga,  sono  un  brulicare  di  dettagli,  di descrizioni,  di  particolari  che  aiutano  a  sentirsi  dentro  l’immagine,  dentro  il racconto.  Perché  partire  da  ciò  per  chiarire  come  mai Ulrich  è  l’uomo  senza  qualità?  Semplicemente  perché Musil  pone  nella  descrizione  del  carattere  dei  propri personaggi  esattamente  la  medesima  cura  e  la  medesima attenzione  che  pone  nella  descrizione  delle  ambientazioni e  dei  luoghi  della  storia.  Non  usa  il  carboncino,  usa  una matita  dalla  punta  finissima,  per  quanto  si  possa aumentare  lo  zoom  sul  personaggio

Il dettaglio che Robert Musil espande.

Ulrich  ha  una  cultura  accademica,  ha  una  posizione  sociale  di  rilievo,  sa come  rapportarsi  agli  altri,  ha  un  discreto  successo  con  il  gentil  sesso,  gode  di buona  considerazione  presso  i  suoi  pari.

Perché  allora  definirlo  come  un uomo  senza  qualità?

Vive  nella  città  simbolo  dell’impero  Asburgico,  in  quel preciso  momento  storico  (siamo  agli  inizi  del  novecento)  forse  la  città  in  cui risiedono  le  maggiori  personalità  in  ambito  culturale,  al  centro  di  un  regno che  per  prestigio  si  può  permettere  di  competere  con  la  Germania  di  Kaiser Wilhelm  II.

Perché  traslare  tutto  ciò  nella  Kakania?

Siamo  nel  pieno  del  flusso  narrativo  della  seconda  parte  del  romanzo quando  Musil  afferma  che  Un  uomo  senza  qualità  è  fatto  di  qualità  senza  l’uomo. Ulrich  è  alla  ricerca  di  se  stesso.  Avverte  una  insostenibile  oppressione  legata al  fatto  che  percepisce  attorno  a  se  un  mondo  che  non  premia  i  veri  valori: incoraggia  anzi  a  seguirne  altri.  Le  parole  del  narratore  extra-eterodiegetico sono  esemplari  in  tal  senso:   […]  egli  riprese  a  riflettere  sul  problema  della  sua  giovinezza:  perché  il  mondo favorisce  in  modo  così  inquietante  le  manifestazioni  improprie  e,  in  senso  più  alto, inautentiche?  “si  fa  sempre  un  passo  in  avanti  quando  si  mente”  pensò  […].   Ulrich  ha  32  anni,  è  nel  mezzo  del  cammin  della  sua  vita  ed  è  normale che  si  ponga  tutta  una  serie  di  interrogativi  finalizzati  a  comprendere  che  tipo di  svolta  dare  alla  sua  esistenza.  Egli  non  si  nega  alle  esperienze  ma  alla  fine, per  qualche  motivazione  a  lui  ancora  non  comprensibile,  vive  anche  quelle più  forti  e  nelle  quali  si  è  lanciato  con  passione  con  un  certo  distacco: […]  anche  nel  corso  di  azioni  concitate  il  suo  atteggiamento  era  al  contempo appassionato  e  impassibile.

Così  aveva  fatto  tutte  le  esperienze  possibili  e  sentiva  che ancora  adesso  sarebbe  potuto  ricacciarsi  da  un  momento  all’altro,  in  qualsiasi  impresa, della  quale  magari  non  gli  importava  nulla,  purchè  stimolasse  il  suo  istinto  ad  agire.  Con un  po’  di  esagerazione  poteva  dire  che  gli  eventi  della  sua  vita  si  erano  prodotti  come  se fossere  legati  più  l’uno  all’altro  che  a  se  stesso  […]

Comincia  ad  affiorare  da  queste  parole  una  caratterizzazione  più  precisa di  questo  personaggio  e  da  ora  in  poi,  procedendo  nel  racconto,  lo  vediamo sempre  più  somigliare  a  tanti  altri  antieroi  di  inizio  novecento,  ai  vari  inetti della  letteratura  modernista  italiana.

Ulrich  è  dunque  un  uomo  che  possiede tante  virtù,  colmo  di  qualità  ma  la  verità  è  che  egli  non  le  vede  finalizzate  ad uno  scopo  preciso  e  quindi  è  come  se  non  le  praticasse  per  scelta  ma  solo  per modo.  Siamo  in  presenza  di  un  individuo  che  al  pari  di  milioni  di  europei  di quel  preciso  periodo  storico  è  alla  ricerca  di  se  stesso.  Avverte  che  il  mondo che  lo  circonda  sta  entrando  in  un  periodo  di  profonda  crisi,  una  crisi filosofica  prima  ancora  che  morale.

Lui  scienziato  (Ulrich  o  Musil  diventa indifferente)  non  ottiene  da  ciò  che  sa  tutte  le  possibili  risposte  per  un  sereno vivere.

Ha  ancora  bisogno  di  cercare,  di  scoprire  non  come  fare  le  cose  (le virtù  le  ha  acquisite)    ma  a  quale  scopo  finalizzarle.  E  questo  gli  manca. […]  Se  Ulrich  avesse  dovuto  dire  chi  era  realmente,  si  sarebbe  sentito  in  imbarazzo, poiché  fino  a  quel  momento,  come  molti  altri,  non  aveva  mai  esaminato  se  stesso  se  non  in relazione  ad  un  problema  ed  alla  sua  soluzione  […] Qualunque  esperienza,  qualunque  giudizio  di  merito,  non  possono  non essere  contestualizzati  nel  farne  una  valutazione  ed  era  proprio  l’incertezza del  contesto  di  fondo  a  costituire  il  più  grave  problema  di  Ulrich. […]  Non  occorre  addentrarsi  ancora  nella  morale  di  questi  esempi  per  notare immediatamente  che  l’incertezza  con  cui  ogni  volta  scendiamo  a  un  compromesso  tra  la condotta  oggettivamente  giusta  e  quella  individualmente  giusta.  Questa  incertezza  faceva da  vasto  sfondo  al  problema  personale  di  Ulrich  […] L’incapacità  che  Ulrich  avverte  di  amalgamarsi  con  il  mondo  esterno  ed un  giudizio  più  preciso  su  di  esso  cominciano  ad emergere  in  seguito  alla  sua  partecipazione  al comitato  di  “Azione  parallela”  (siamo  probabilmente nel  1913),  un’associazione  alacremente  impegnata  nei preparativi  per  le  celebrazioni  in  onore  dei  70  anni  di regno  dell’imperatore  austriaco,    che  occorreranno  il  2 dicembre  del  1918.

In  quello  stesso  anno  vi  sarebbe stato  anche  il  trentennale  di  permanenza  al  potere dell’imperatore  tedesco  (il  già  citato  Wilhelm  II). Questa  coincidenza  spinge  i  patrioti  austriaci  ad entrare  in  azione  per  dimostrare  l’indubitabile  supremazia  politica,  culturale e  filosofica  della  loro  nazione. Francesco  Giuseppe  I  d’Austria Per  l’Europa  gli  anni  a  seguire  saranno  ben  diversi  da  quanto  il  comitato si  attende  ma  all’interno  del  comitato  Ulrich  avrà  la  possibilità  di  confontarsi con  un  campionario  umano  in  grado  di  offrire  in  maniera  sempre  più evidente  uno  scorcio  di  una  società  in  decadenza  che  si  avvia  velocemente verso  il  dramma  della  guerra.  L’uomo  non  è  più  al  centro  di  tutto  e  la  storia sta  per  darne  un  duro  esempio  a  tutta  la  razza  umana.

L’Austria  Felix  si  mostra  per  quello  che  è:  il  luogo  per  antonomasia dell’eterogeneo,  del  caos  e  dell’ambiguità.  L’impero  si  avvia  a  sparire  tra  le rovine  della  modernità.  Musil  è  consapevole  di  questo  processo  di  caduta irreversibile  e  sottolinea  il  motivo  del  vuoto  di  valori  nell’età  del  progresso tecnologico,  riconoscendolo  in  una  profonda  crisi  spirituale.  Il  comitato  di Azione  Parallela  è  in  tal  senso  una  metafora  dell’immobilismo  politico  di  quel tempo.

Tutto  potrebbe  accadere  ma  nulla  accade.

Il  nostro  autore  scrive pagine  di  grande  sarcasmo  quando  illustra  le  discussioni  tra  Ulrich  segretario del  comitato  e  gli  altri  partecipanti.  Emerge  un  ritratto  impietoso  di  un impero  ormai  governato  dai  burocrati,  di  una  società  che  ormai  è  superata nella  sua  organizzazione  e  in  come  concepisce  il  ruolo  dell’individuo  al  suo interno.

Ulrich  è  un  po’  Zeno  e  un  po’  Mattia.

Ha  via  via  acquisito consapevolezza  della  realtà,  semplicemente  non  riesce  a  trovare  il  modo  di affrontarla  e  di  venire  a  capo  del  problema.  E  la  sua  sconfitta  individuale  è una  sconfitta  di  tutta  la  società  perché  matura  da  una  crollo  di  certezze dell’uomo  moderno.  La  sua  scienza  non  fornisce  più  alcuna  certezza  ma lascia  spazio  al  relativismo  e  alla  scoperta  che  l’uomo  ha  un  un  nuovo universo  da  indagare  dentro  se.  Einstein  e  Freud  pongono  le  nuove  sfide. Arriviamo  dunque  alla  terza  parte  del  romanzo,  quella  postuma  (il  regno millenario).  E  subito  si  percepisce  un  cambio  di  tono,  d’atmosfera.  Difficile  a dirsi  quanto  ciò  sia  effettivamente  dovuto  alla  sistemazione  fatta  da  altri dell’opera  (incompiuta)  e  quanto  al  suo  tono  originale.

Nei  fatti  è  la  parte  in cui  Ulrich  sceglie  che  piega  dare  alla  propria  esistenza.  Si  rifugia  in  un rapporto  con  la  ritrovata  sorella  Agathe,  anche  lei  divorata  da  atroci  dubbi esistenziali.

Tra  i  due  inizia  una  convivenza  in  una  simbiosi  mistica  che  a tratti  ricorda  l’estasi  religiosa.  Le  loro  affinità  di  vedute  su  cosa  il  mondo  è divenuto,  il  voler  superare  il  disagio  in  cui  è  piombata  la  società  moderna,  li vede  unirsi  completamente  (sia  intellettualmente  che  fisicamente).

E’  una relazione  intrisa  di  misticismo  con  la  quale  Musil  simbolizza  il  desiderio  di totalità.  E’  l’unica  soluzione. […]  Esseri  simmetrici  di  un  capriccio  della  natura,  d’ora  in  poi  avremo  la  stessa  età,  la stessa  statura,  gli  stessi  capelli  e  andremo  in  giro  per  le  strade  degli  uomini  con  gli  stessi abiti  a  righe  e  lo  stesso  fiocco  sotto  il  mento;  considerà  però  che  loro  ti  guarderanno  per metà  commossi  e  per  metà  ironici,  come  sempre  accade  quando  qualcosa  ricorda  loro  i segreti  di  quel  che  sarà  […] In  conclusione  possiamo  affermare  che  Ulrich  è  un  uomo  senza  qualità  in un  mondo  in  cui  le  qualità  sono  però  tutte  da  ridefinire.  Quindi  sarebbe  forse più  corretto  dire  che  è  un  uomo  della  possibilità,  la  possibilità  di  scegliere cosa  essere  fuori  dal  coro,  di  vivere  una  vita  di  valori  e  principi  che  non  si sposano  con  il  senso  comune  di  una  società  in  piena  decadenza. Musil  in  una  bozza  preparata  per  la  prefazione  del  romanzo  scriveva: “Dedico  questo  romanzo  alla  gioventù  tedesca  […]  a  quella  che  verrà  tra  qualche tempo  e  che  dovrà  necessariamente  riprendere  le  mosse  dal  punto  esatto  in  cui  noi  […]  ci siamo  fermati  […]  Questo  romanzo  è  ambientato  negli  anni  che  precedono  il  1914,  in un’età  dunque  che  i  giovani  non  hanno  conosciuto  (la  nota  è  del  1930).  E  questa  era  non  vi è  descritta  così  com’è  stata  veramente,  in  modo  che  possano  farsene  un’idea.  Vi  è  descritta, piuttosto,  nel  suo  riflettersi  in  una  persona  non  particolarmente  autorevole”.   Persona  non  autorevole  certamente  ma  specchio  di  un  intero  periodo storico. Per  quanto  concerne  la  narrazione,  l’uomo  senza  qualità  rientra  a  pieno titolo  tra  le  opere  moderniste  ricadenti  nella  narrativa  contemporanea. Ricordiamo  che  il  primo  volume,  composto  dalle  prime  due  parti,  venne pubblicato  quando  l’autore  era  ancora  in  vita  e  quindi  con  la  sua  supervisione (inizio  degli  anni  ’30)  mentre  il  secondo  volume  è  postumo  alla  morte  di Musil  (1942)  .  Un  fenomeno  subito  evidente  è  quello  per  cui  si  vuol  produrre nel  lettore  un  effetto  di  straniamento,  inteso  come  l’impossibilità  da  parte  del lettore  di  trovare  sempre  e  comunque  un  nesso  logico  in  quanto  legge.  Il moltiplicarsi  di  fatti  e  personaggi,  le  storie  lasciate  sempre  aperte  e  non chiuse  se  non  a  grande  distanza  dalla  prima  narrazione,  l’affontare  argomenti teorici  ed  ideologici  spesso  lasciati  incompiuti,  sono  tutte  tecniche  che verranno  riprese  e  rafforzate  nel  secondo  ‘900  ma  di  cui  Musil  è  già  sapiente utilizzatore.  Spesso  viene  portata  avanti  una  tesi  ed  il  suo  contrario  e  si portano  sufficienti  argomenti  a  sostegno  sia  dell’uno  che  dell’altra.

Ciascun personaggio  viene  sapientemente  caratterizzato  per  divenire  il  perfetto interlocutore  su  un  tema  specifico.  Dalla  politica  alle  scienze,  dall’economia alla  religione,  costume,  società,  seduzione,  tutto  sembra  affrontato  e  rimesso al  posto  giusto.  Peccato  che  alla  fine  dei  dialoghi,  delle  discussioni,  si  ha spesso  la  sensazione  di  essere  al  punto  di  partenza.

Passando  ad  esaminare  la  dimensione  temporale,  per  quanto  concerne l’ordine  la  struttura  è  abbastanza  convenzionale:  la  storia  ha  un  narrazione temporale  progressiva  che  si  interrompre  di  tanto  in  tanto  con  frequenti analessi  esterne  (di  carattere  completivo,  per  colmare  alcune  informazioni mancanti  su  personaggi  chiave)  e  qualche  rara  prolessi  (con  anticipazioni  che si  possono  recuperare  anche  dai  titoli  di  paragrafi  che  si  è  in  procinto  di leggere).  Per  quanto  concerne  la  durata  sono  presenti  frequenti  isocronie,  di tutti  i  tipi,  lunghe  scene  (dialoghi),  pause,  sommari,  estensioni.  Sembra  di essere  in  un  cielo  azzurrissimo  e  terso  pieno  di  nubi  di  tutte  le  dimensioni.

I dialoghi  sono  spesso  motivati  dalla  necessità  di  approfondire  temi  complessi. Verso  la  fine  del  primo  volume  gli  eventi  narrati  fanno  percepire  una generale  accelerazione  del  racconto,  che  tuttavia  rallenta  a  sprazzi  nel seocndo  volume  quando  Musil  si  sofferma  in  passi  di  profonda  introspezione psicologica  di  Ulrich  e  Agathe.

Ed  è  proprio  a  proposito  di  questi  personaggi che  ritroviamo  qualche  ellissi.

Da  un  punto  di  vista  della  frequenza  il racconto  ha  una  notevole  ripetitività:  è  tutto  un  continuo  andare  e  tornare sugli  stessi  elementi  arricchendoli  ogni  volta  di  qualche  piccolo  particolare aggiuntivo.

Alla  fine  il  discorso,  estremamente  frammentato, viene ricomposto  non  senza  fatica  dal  lettore,  che  anche  qui  viene  frequentemente disorientato.  Il  tornare  sugli  eventi  significa  però  che  viene  rispreso  il  tema non  che  vengono  riproposti  gli  aventi  già  narrati. Come  abbiamo  già  avuto  modo  di  dire,  l’unico  narratore  presente  non viene  introdotto  al  racconto  ed  è  estraneo  ai  fatti  quindi  è  extraeterodiegetico.

La  narrazione  è  quasi  sempre  al  presente  ed  impersonale.

Salvo  che  nelle  pur  frequenti  parti  dialogiche,  il  modo  del  racconto  è  a distanza  massima.

Il  narratore  è  sempre  presente,  fornisce  dettagli  sulla  storia (ma  quanto  basta  alla  completa  caratterizzazione  dei  personaggi),  la  modalità è  quella  del  narrare,  quindi  un  racconto  fortemente  diegetico.  Il  narratore, quando  vuol  far  conoscere  la  posizione  di  uno  dei  vari  personaggi  su  un  dato tema  adotta  una  focalizzazione  interna.  In  questo  modo  raccoglie  più  punti  di vista  su  un  dato  argomento  senza  che  si  giunga  necessariamente  ad  un  punto di  vista  finale.  Anzi,  come  già  accennato,  le  questioni  restano  spesso  aperte.

I  numerosi  personaggi,  come  detto,  sono  in  numero  adeguato  per  le tematiche  che  l’autore  intende  sviluppare.  Sono  sviluppati  fino  ad  un  livello di  profondità  e  sofisticatezza  tale  da  essere  coerente  con  il  loro  livello culturale.

Il  teatro  di  questi  successivi  approfondimenti  è  per  lo  più  quello  di incontri  mondani  o  del  gruppo  e  anche  in  questo  caso  tutto  appare  conforme a  quanto  attiene  alla  maschera  in  questione.

Lo  sviluppo  delle  varie personalità  non  avviene  comunque  per  ciascuno  in  via  contestuale all’introduzione  ma  in  via  frammentaria  e  per  affinamenti  successivi,  proprio per  contribuire  sempre  più  a  quello  straniamento  che  l’autore  intende  indurre nel  lettore.

PATRIZIA DIOMAIUTO

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