The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, la recensione

"The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca" locandina.

“The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca” locandina.

Dopo il non tanto apprezzato “The Paperboy”, presentato in concorso al Festival di Cannes del 2012, Lee Daniels, regista statunitense di colore e dichiaratamente gay prova a raccontare una storia che si propone di smuovere gli animi e far emozionare. Ci aveva già provato con “Precious”, film del 2009 che ha riscosso critiche positive e racconta la storia di una giovane e sventurata ragazza di colore, Precious, obesa e analfabeta, costretta a vivere una vita difficile e senza amore e a prendersi cura di una bambina con la sindrome di Down, nata in seguito alle continue violenze sessuali del padre.

Così Lee Daniels torna a riscuotere consensi con una nuova pellicola: “The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca”. Il film, uscito nelle sale americane il 16 agosto 2013 e arrivato da noi solo il 1º gennaio 2014, racconta la vera storia di Eugene Allen, maggiordomo alla Casa Bianca per oltre 30 anni. Una storia semplice se non fosse per la vicenda personale di Eugene Allen, diventata nota grazie ad un articolo postato sul Washington Post dal giornalista Wil Haygood, e che prende vita dai campi di cotone della Georgia degli anni 20 fino ad arrivare all’elezione di Barack Obama del 2008. Eugene Allen per l’adattamento cinematografico è diventato Cecil Gaines, maggiordomo semplice e timido che vede succedersi sotto i suoi occhi ben otto Presidenti americani.

Lee Daniels prova a raccontare un pezzo della storia dell’umanità, cruciale nel Novecento: ovvero la lotta contro ogni forma di discriminazione razziale. Nell’America degli anni 50 per un nero era complicato esprimere le proprie idee e opinioni liberamente, specialmente se queste idee erano motivate dall’intento di fomentarli e spingerli in massa al cambiamento, per garantire tutti quei diritti civili che al popolo nero venivano negati. Ne sono un esempio le lotte per i diritti civili di Martin Luther King e Malcom X, entrambi morti assassinati proprio per il loro ruolo encomiabile di attivisti nella lotta per la parità dei diritti tra gli uomini. Questa battaglia complicata, lunga ma anche barbarica, in cui hanno perso la vita tanti uomini e donne di colore, ci viene proposta attraverso la vicenda di un singolo individuo.

La storia di Cecil Gaines inizia nella Georgia degli anni 20 in un campo di cotone dove il piccolo lavora insieme a sua madre e suo padre. Un giorno Cecil assiste alla morte del  padre, ucciso per mano del suo giovane padrone. Preso sotto l’ala protettiva della vecchia padrona di casa viene istruito a diventare “un negro di casa”. Dai campi di cotone della Georgia la vicenda si sposta alle stanze del potere della Casa Bianca, dove Cecil, ormai adulto e con una moglie e due bambini a carico, assiste da spettatore passivo alle più importanti fasi della storia del Novecento. Sfilano sotto il suo sguardo una parata di Presidenti americani che ci vengono presentati caricaturati: Eisenhower dipinge, Kennedy è giovane e bello, Johnson suda e così via. Ma al di là di quegli che sono gli aspetti stereotipati con cui vengono presentati i Presidenti, che non aggiungono nulla in più rispetto a ciò che già si conosce, appare evidente, attraverso la discrepanza tra immagine sociale e quella privata, una critica ai Presidenti americani che nulla fecero per migliorare la situazione degli afroamericani.

Tuttavia vera colonna portante dell’intera pellicola è il legame nonché rapporto conflittuale  tra padre e figlio. Le divergenze ideologiche si manifestano come scontro generazionale tra un uomo adulto che con fare dimesso e gentile ricerca il riscatto sociale attraverso il lavoro, e un giovane che decide di scendere in campo, sedersi ad un tavola calda in posti riservati a soli bianchi, salire su un pullman che verrà incendiato; disposto addirittura alla lotta e allo scontro fisico affinché qualcosa cambi. Cecil Gaines, educato come un perfetto domestico, che non vede e non sente nulla, timido e riservato, non riesce a comprendere la lotta di tutti quei ragazzi che con le loro imprese finiranno per farsi uccidere. Eppure durante il lungo percorso di vita la coscienza di Cecil cambia, si evolve. La sua iniziale condiscendenza nei confronti dei bianchi si tramuta in piena consapevolezza delle difficoltà e di quello che gli afroamericani come lui hanno realmente vissuto, fino a decidere di scendere in piazza e protestare a fianco di quel figlio, che forse non era mai riuscito a comprendere in pieno.

Nel film Cecil ha il volto del simpatico Forest Whitaker, premio Oscar nel 2007 per “L’ultimo re di Scozia”, mentre nel ruolo della moglie tormentata, fragile e forte allo stesso tempo troviamo Oprah Winfrey. Un cast ben nutrito che si avvale anche della presenza di Robin Williams, Alan Rickman, Jane Fonda, Lenny Kravitz e Mariah Carey.

Infine, sintetizzare in 125 minuti 80 anni di storia americana non è un’impresa semplice e sebbene il film appaia a tratti quasi didascalico e un po’ lento, riesce tuttavia a offrirci un ulteriore spunto su un tema tanto delicato e di complessa trattazione  attraverso un accurato e preciso lavoro, che non trascura dettagli storici rilevanti.

Maria Scotto di Ciccariello

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