Suicidi in aumento. Ma è davvero la crisi ad uccidere?

Alessandro, 49 anni, imprenditore di Trani in provincia di Bari, finito in mano agli strozzini.  E.F., 44 anni, titolare di una fabbrica di infissi nel pescarese, una compagna e un […]

Alessandro, 49 anni, imprenditore di Trani in provincia di Bari, finito in mano agli strozzini.  E.F., 44 anni, titolare di una fabbrica di infissi nel pescarese, una compagna e un figlio piccolo. Paolo, 53 anni, imprenditore agricolo del trevigiano, una moglie e 4 figli. Lucia, 28 anni, una laurea in ingegneria gestionale e un amore frustrato per la sua Cosenza.

E ancora: Arcangelo, 63 anni, titolare di un’impresa edile di Vico Equense, devoto alla madonna di Pompei; una moglie, tre figli, e troppe cartelle esattoriali di Equitalia. Salvatore, 53 anni, muratore disoccupat di Gravina in provincia di Catania, anche lui tre figli; l’offerta di lavoro è arrivata quando era già troppo tardi. L., parrucchiera di 36 anni, originaria di Parma ma residente a Roma, un grande amore per il mare e un affitto che era diventato impossibile da pagare. Ermanno, 74 anni, imprenditore edile di Cagliari, da tempo depresso.

Sono solo alcune delle vittime della crisi. Impiccagione, pistola, defenestrazione, coltello: questi i modi scelti per mettere in atto il gesto finale, il teatrale addio alla vita che tutto a un tratto sembra diventare l’unica via di fuga da una situazione che non lascia scampo da nessuna parte.

La crisi non smette di mietere vittime. Le cause sono sempre le stesse: debiti da saldare, bollette da pagare, crediti impossibili da riscuotere. La voglia di lottare che progressivamente abbandona lo spirito, la rabbia e la frustrazione per non avercela fatta, il bilancio in negativo di una vita che pesa sulle spalle come un macigno.

Dal 2012 ad oggi sono 121 le persone che si sono tolte la vita per motivi direttamente legati al deterioramento delle condizioni economiche personali o aziendali; il 40% in più rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dal report “Il mondo al tempo dell’austerity – rapporto sui diritti globali” presentato il 4 giugno dall’associazione Società Informazione Onlus e promosso dalla Cgil.

La crisi ormai non fa più notizia; i morti invece sì. Un fenomeno preoccupante, che non smette di tenere banco sui giornali. Anche se la stampa dovrebbe di regola evitare di trasformare un suicidio in una notizia, tranne che in casi particolari. Ma i morti sono tanti, troppi, per non parlarne affatto. Le loro vite finiscono in lunghi, dettagliati articoli, corredati dalle solite osservazioni: ennesima vittima della crisi, ancora un suicidio a causa della crisi. I messaggi d’addio, le lacrime dei parenti. Un giorno o due di celebrità, poi, il silenzio. Tutto quello che resta è il dolore vivo dei familiari, l’amara constatazione che in questo mondo, ancora oggi, solo i più forti sopravvivono.

È allora che succede: l’autostima del singolo cala, e cresce invece la sensazione di essere solo un uomo fra tanti, pedina di un sistema che non garantisce più nemmeno la sopravvivenza. E poi, la cronaca quotidiana: tutto quel parlare di suicidi, di crisi economica, di una ripresa che stenta ad arrivare; un futuro che, se pure c’è, non si vede; davanti agli occhi solo buio, il buio pesto del fallimento che le piccole fiammelle della famiglia, dell’affetto dei propri cari, della vita stessa, non riescono ad illuminare.

A scattare prepotentemente è la molla dell’emulazione, non della speranza. Se tanti prima di me l’hanno fatto, forse vuol dire che non c’è davvero soluzione. E allora tanto vale farla finita, andare incontro a quel buio a braccia aperte e non pensarci più.

La crisi, c’è, c’è stata, e probabilmente continuerà ad esserci; forse, però, non è più solo la crisi ad uccidere.

Forse è la sensazione diffusa di stare andando alla deriva, di non potercela fare, di non avere speranze. Forse è tutto questo parlarne in termini negativi a generare disperazione. Forse è la percezione di essere stati abbandonati da tutti, di essere soli a combattere contro un mostro invincibile. La demonizzazione della crisi che spinge a capitolare chi si trova ad affrontarla faccia a faccia, chi ne vive quotidianamente gli effetti sulla pelle, scegliendo la più drastica delle soluzioni: il suicidio.

Invertire la rotta non è facile; forse però l’opinione pubblica gioca un ruolo fondamentale. Forse, fermo restando il dovere di cronaca, i giornali che forgiano le menti e i pensieri della massa dovrebbero lanciare un messaggio di speranza. Sostenere la tesi che un futuro esiste, ed è possibile costruirlo insieme. Forse i politici che governano questo paese dovrebbero impegnarsi, oltre che da un punto di vista economico, anche da un punto di vista sociale. Per far capire alla gente che non è sola, che c’è ancora una possibilità di salvezza, qualcosa per cui lottare.

Forse. O forse tutto va esattamente come deve andare. Mostrando la solitaria deriva di una società che, in qualche modo, abbiamo tutti sbagliato a costruire.

G.G

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