Occupy Scampia: l’ennesima, inutile trovata mediatica

L’occupazione della piazza di Scampia durante la registrazione del programma “L’ultima parola”, andato in onda sulla Rai

Le rivoluzioni dell’epoca moderna, non c’è dubbio, partono dai social network. Ricorderete l’importante funzione assunta da Twitter durante la rivoluzione in Egitto o durante l’occupazione di Zuccotti Park da parte del movimento di indignati americani, “Occupy Wall Street”. Ebbene anche in Campania la rivoluzione si fa in rete: dopo un articolo apparso sul quotidiano “Il Mattino” in cui si denunciava il coprifuoco imposto dalla camorra ai cittadini del quartiere Scampia – negozi chiusi entro le 19.30 e bar entro le 22  – l’indignazione è tanta e c’è chi se ne fa portavoce: “Facciamo capire a ‘ste bestie che quel territorio non è il loro? Chi c’è?! Forzaaaa. Occupiamo Scampia!”.

Bastano poche parole, un veloce “cinguettio” della deputata del Pd Pina Picierno per scatenare una valanga di commenti su Scampia. Quartiere del male. Droga shop. Il supermarket della droga più grande d’Europa. Un territorio da liberare. Cosa fare, dunque? Il popolo di Twitter non ci mette molto a decidere: occupiamo Scampia per liberare il territorio dalla camorra. I tweets si susseguono inarrestabili e l’appuntamento è stabilito: venerdì 3 febbraio, ore 17 in piazza Giovanni Paolo II, Scampia. Lì ci si incontrerà per mostrare il proprio dissenso contro il coprifuoco imposto dalla camorra locale, piantando tende, presidiando il luogo per tutta la notte. Occupy Scampia: una sorta di Zuccotti Park in miniatura.

Eppure, il 3 febbraio, a Scampia vuoi per il freddo intenso – non la neve, come dichiarato dalla Picierno dinanzi alle telecamere Rai – vuoi per la scarsa abitudine dei cittadini della zona ad incontrarsi in piazza – perché a Scampia i luoghi di aggregazione sociale sono pochi non certo perché il coprifuoco e il timore dei proiettili vaganti seminano il panico – Occupy Scampia non ha avuto il successo sperato, non ha superato il passaggio dalla realtà virtuale a quella effettiva.
Nessuna tenda è stata piantata in piazza il 3 febbraio: delle scarse cento persone presenti, circa il 70% era costituito da forze dell’ordine e cronisti giunti a commentare l’evento – quelli della trasmissione “L’ultima parola” di Rai2, del TgCom, Giulio Golia de “Le Iene”. Grande, infatti, è stato il risalto mediatico della proposta della Picierno al punto da far adirare molti cittadini di Scampia, che, pur riconoscendo le intenzioni positive che hanno animato la protesta, hanno intravisto in questo maxi-evento una passerella politica, un intervento “a breve termine”, calato dall’alto da chi il territorio non lo ha mai vissuto – e poco ne comprende le esigenze reali – come una spada di Damocle che non ha tardato ad abbattersi sul quartiere, per l’ennesima volta dipinto, agli occhi della nazione, utilizzando i soliti cliché “droga-camorra-degrado”.

Le prime proteste contro Occupy Scampia sono venute dalle numerose associazioni che, da anni, animano le strade del quartiere, presenziandone i luoghi con la legalità, cercando di costruire alternative all’attrattiva del guadagno facile prospettato dalla delinquenza locale, offrendo opportunità di crescita individuale, sociale e professionale. Accusate di negare l’esistenza della camorra a Scampia (solo per aver dichiarato di non aver ricevuto alcuna pressione legata al coprifuoco), di colludere con la delinquenza e “gioire” del flop di una manifestazione anticamorra (solo per aver previsto che la partecipazione sarebbe stata minima), nonché di voler “tenere” le mani sul quartiere monopolizzandone le attività, le associazioni del territorio si sono, in parte, dissociate dall’evento. Altre, infatti, hanno collaborato con gli organizzatori di Occupy Scampia affinché, partendo dall’esame delle complesse problematiche del territorio, la manifestazione si trasformasse in “Occupiamoci di Scampia”, per condividere azioni positive e collaborare con quei cittadini che se ne occupano da sempre, anche soltanto attivando “piccoli” interventi di cambiamento o protestando per la risoluzione di questioni aperte da molti anni: la riqualificazione del quartiere, l’abbattimento delle Vele, la costruzione dell’Università, il completamento dei lavori della stazione della metropolitana che, ormai, sembrano protrarsi ad oltranza.

Occupy Scampia è un movimento, certamente, composto da una cittadinanza attiva ed ispirata da principi positivi, tuttavia per i cittadini del quartiere che, da sempre, si portano dietro il pregiudizio di quelli che, di Scampia, conoscono soltanto il malaffare, è difficile seguire chi pensa di poterne risolvere gli annosi problemi con la rapida occupazione “simbolica” di una piazza. D’altronde – non ci crederete – piazza Giovanni Paolo II, che è stata teatro del circo mediatico del 3 febbraio, è una delle poche piazze del quartiere veramente libere: non una piazza di spaccio è stata occupata per liberare il territorio dalla camorra, bensì una piazza presidiata quotidianamente dalla legalità grazie al Centro Territoriale Mammut, che opera sul territorio con azioni formative ed educative di rilievo; una piazza che deve persino il suo nome ad un’iniziativa del popolo di Scampia: dopo essere stata tristemente intitolata “piazza dei grandi eventi” fu, infatti, il comitato di cittadini “Piazza per bene” a proporre una petizione affinché fosse intitolata al Papa Giovanni Paolo II che, in visita a Scampia, pronunciò la celebre frase “Non arrendetevi al male, mai”. I cittadini di Scampia sanno bene cosa significa non arrendersi, per questo – anche a telecamere spente – continueranno a lavorare per migliorare, un passo alla volta, la qualità della vita del quartiere. Utopia? Forse, ma provate a passare per Scampia Domenica 19 Febbraio: c’è il tradizionale Carnevale del Gridas e le piazze del quartiere saranno davvero occupate. Tutte.

Sara Di Somma

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