Obama vs Romney: tutto quello che c’è da sapere sulle presidenziali Usa

Obama vs Romney: chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti?

Ogni quattro anni, l’elezione del Presidente degli Stati Uniti tiene incollate col fiato sospeso milioni di persone nei quattro angoli del globo. Dall’avvincente cavalcata delle primarie ai dibattiti televisivi, dall’uso del web –  e dei social network in particolare –  in chiave elettorale alla guerra tra candidati giocata anche sul merchandising a colpi di spille, tazze e pupazzi, non credo esista al mondo nessun altro evento politico che abbia la stessa risonanza mediatica internazionale di questo. Volenti o nolenti, in questi giorni tutti abbiamo un occhio rivolto verso l’altro lato dell’atlantico per scoprire come andrà a finire. Senza voler entrare nel merito della politica, la sfida tra il presidente uscente Barack Obama e il candidato repubblicano Mitt Romney personalmente mi affascina non poco, e non solo per l’incertezza degli ultimi sondaggi che profilano una situazione di parità assoluta. Quattro anni fa Obama era l’osannato profeta del cambiamento che smuoveva le masse. Agli occhi di tutti la sua elezione nel 2008 fu il compimento del sogno americano. Per la prima volta nella storia un afroamericano sedeva nello studio ovale della Casa Bianca. Le sue idee di speranza, progresso e cambiamento allora fecero breccia nell’elettorato americano, oggi è alla ricerca di un secondo mandato dopo quattro anni obiettivamente difficili non solo per l’America, ma per il mondo intero. Stavolta il candidato democratico si presenta davanti ai suoi elettori come il presidente del possibile, da cui la scelta del nuovo slogan: “Forward”, Avanti. L’evolversi della crisi economica e i proclami accusatori dello sfidante Romney certo non gli renderanno la vittoria (se sarà) semplice.

OCCHI PUNTATI SULL’OHIO. Nell’ultimo week-end prima del voto, sia Barack Obama che Mitt Romney si sono affannati per cercare di strappare il consenso degli indecisi, i famosi ‘swing states’ americani, ovvero gli stati in bilico tra un partito e l’altro ma decisivi per le elezioni presidenziali che, secondo un complesso sistema che spiegherò più avanti, si vincono conquistando i “Grandi Elettori” di ciascuno stato. Sia Obama che Romney puntano al famigerato 270, cioè il numero necessario di presidential electors che da 48 anni apre le porte della Casa Bianca. Il presidente uscente, al momento, può contare su 217 voti elettorali certi di quegli stati notoriamente ‘democratici’. Per il candidato repubblicano i voti ‘sicuri’ sono invece 191. Restano in palio 130 voti elettorali, in quegli stati dove la battaglia è definita ‘tossup’, troppo incerta per fare previsioni attendibili: Nevada (6), Colorado (9), Iowa (6), Wisconsin (10), New Hampshire (4), Virginia (13), Florida (29), North Carolina (15), Pennsylvania (20) e Ohio (18). Ed è soprattutto in Ohio, uno dei cosiddetti ‘Big Three’ assieme a Virginia e Florida (dove democratici hanno fatto causa per prolungare l’early voting), che potrebbe decidersi l’esito del voto. Nessun presidente è stato eletto dal 1960 senza essersi aggiudicato i voti del ‘Buckeye state’, e anche stavolta il destino dell’America sembra essere nelle mani dello stato del midwest. La rinascita della dominante industria automobilistica potrebbe far pendere l’ago della bilancia in favore di Obama, ma l’elettorato evangelico delle zone rurali dello stato, dopo l’iniziale diffidenza, è schierato dalla parte del mormone Romney. Mai come in queste ore la partita per le presidenziali negli stati chiave è tutt’altro che chiusa. I sondaggi danno i due candidati quasi appaiati, con un vantaggio minimo del presidente in carica.

COME SI ELEGGE IL PRESIDENTE. Per capire l’importanza strategica di questi ‘swing states’ è opportuno avere prima ben chiaro come funziona il sistema elettorale negli Stati Uniti, dove non vince chi ha più voti ma chi conquista la maggioranza dei “Grandi Elettori”. Il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti vengono eletti tramite un voto indiretto, in cui i cittadini votano per una lista di membri del Collegio Elettorale americano (i grandi elettori appunto), che a loro volta eleggono direttamente il presidente e il suo vice. In ognuno dei 50 stati, l’elettore, cioè, non vota il candidato (Romney piuttosto che Obama), ma una lista di elettori associati ad uno dei due candidati, il cui numero in ogni stato corrisponde al numero dei senatori (due) più quello dei deputati (proporzionale alla popolazione) che quello stato elegge al Congresso.

CHI VINCE PRENDE TUTTO. In tutti gli Stati (ad eccezione di Nebraska e Maine, dove vige un sistema proporzionale), si vota con un sistema maggioritario secco, definito ‘winner takes all’: colui che vince in un singolo stato – anche di un solo voto – si aggiudica tutti i Grandi Elettori in palio. Dopo 41 giorni dall’Election day, i grandi elettori si riuniscono nella capitale del proprio stato per esprimere la propria preferenza. Ogni delegato eletto è tenuto – ma non obbligato, tranne in 24 stati dove vige una legge contro gli “elettori infedeli” – a votare per il candidato alla Casa Bianca a cui sono associati. In totale i grandi elettori che compongono il Collegio Elettorale sono 538 quindi per diventare presidente, ne servono – appunto – 270. In base a quanto spiegato sopra, può capitare però che un candidato diventi Presidente degli Usa senza ottenere il voto popolare; uno scenario diventato realtà in quattro occasioni, la più recente nel 2000 quando George W. Bush si aggiudicò il voto elettorale, ma il democratico Al Gore prevalse in termini di voto popolare.

A questo punto, vi abbiamo detto tutto quello che serve sapere a proposito delle elezioni americane. Non resta che seguire la lunga notte elettorale per scoprire chi, alla fine dei giochi, conquisterà la poltrona più ambita dello scacchiere politico internazionale.

Enrica Raia

 

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