Me Before You, la recensione

Me before you, la locandina

“Then she comes in front of me , I take my life and make me free again.

We’ll make a memories out of it.

I’m falling apart.

Then you’re coming with me, but not today”

“Not today” degli Imagine Dragons è il leitmotiv  con cui il film si apre, conducendoci sino all’epilogo.

“Io prima di te” è nelle sale dal primo settembre per la grande distribuzione dopo l’anteprima al Giffoni film festival.

Adattamento cinematografico del romanzo “Me before you” uscito nel 2014, dell’autrice Pauline Sara Jo “Jojo”Mayes, scrittrice e giornalista britannica, due volte vincitrice del Romantic Novelist of the year Award; diretto dalla regista teatrale Thea Sharrock, al suo esordio sul grande schermo dopo aver diretto Tom Hiddleston in V, un episodio della miniserie tv britannica “The Hollow Crown”.

“Me before you” è il romanzo divenuto da subito un best-seller e già dalle prime pagine ha assunto un sapore denso, dolce e acre al contempo.

Sicura di una trasposizione cinematografica, ne attendevo di “vederne” le spoglie, come spesso accade e questa volta… è stato lo stesso!

Emilia Clarke e Sam Claflin interpretano i co-protagonisti Louise Clarke, la solare e semplice ventiseienne Lou e il trentunenne tetraplegico Will Traynor.

Lei ottimista “Pollyanna” salta da un lavoro all’altro per aiutare la sua famiglia; vestirà i panni di assistente/badante di un reticente e scontroso, sulle prime, giovane uomo perso nella sua drammatica condizione in cui giace.

La versione cinematografica, sceneggiata dalla stessa autrice del romanzo, ricalca, rimanendo fedele a stessa il plot.

Qui l’identità ’ (accade spesso per fortuna o meno) stilistica della Sharrock emerge, favorendo il lato romantico, ponendo sullo sfondo dettagli, sfumature, atmosfere e scene che avrebbero altresì posto l’accento sull’ introspezione dei personaggi, e sullo stesso film, rendendolo molto più significativo, completo e profondo.

Questo film parla di una storia d’amore, il romanzo del dramma personale e la scelta consapevole del ricorso all’eutanasia.

“Hai soltanto una vita ed è tuo dovere fare di tutto per viverla pienamente”, dice Will Traynor a Louisa, file rouge degli incontri e metafora di vita inconfutabile, dichiarata da un giovane uomo che la vita l’aveva vissuta fino a quel momento e che ora poteva solo ricordare; detta a una persona che seppur piena di vita e nelle piene potenzialità fisiche, intenzionalmente non le rendesse concrete, perché psicologicamente autoindotta a chiudersi a riccio verso l’esterno e in primis con sé stessa.

Questo è un passaggio molto intenso che aleggia in tutto lo script, a porre l’accento anche sul paradosso di chi è immobilizzato fisicamente e che vorrebbe dare piena espressione di vitalità e chi invece potrebbe farlo e non lo fa per autolesionismo psicologico; purtroppo per chi ha letto il libro questa sfumatura, riesce a coglierla, chi ha visto solo il film è privato di questa grande lezione di vita.

La chiave di lettura che propone Thea Sharrock è una storia (edulcorata) sul potere dell’amore e delle sue dinamiche evolutive tra due personaggi profondamente diversi: l’uno cinico e forse anche un po’ viziato e l’altra un po’ goffa e buffa che vive e si accontenta di cose semplici, affini al contesto della campagna inglese.

Lou e Will in altre circostanze probabilmente non si sarebbero mai incontrati ma ora un dramma unisce le loro strade instaurando da subito un rapporto complicato e che trova, un giorno dopo l’altro, lo stesso canale di comunicazione, arrivando ad amarsi.

Il dramma dell’uno si fonde nell’anima dell’altra.

Il grigiore delle giornate trascorse in solitudine sulla sedia a rotelle di Will prende colore grazie alla luce portata da Lou.

Nel suo libro, Jojo, rende accessibili situazioni emotivamente complicate attraverso questi due personaggi che imparano a conoscersi meglio durante la trasformazione che entrambi vivono.

L’eutanasia è un tema che anche per la “fabbrica dei sogni” come quella della cinematografia, è stato affrontato timidamente.

Capostipite indiscusso è stato sicuramente “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1975), il capolavoro di Milos Forman che denuncia i trattamenti disumani negli istituti psichiatrici, in cui il toccante finale che vede uno spettacolare McMurph/Nicholson, ormai lobotomizzato, è “aiutato” a morire dall’indiano Capo Bromden (Will Sampson) vedendolo ormai instupidito e senza forza di volontà e decidendo di non abbandonarlo a se stesso.

Per passare a ” Miele” (2013) di Valeria Golino, a “Mare dentro” (2004) di Alejandro Amenábar, in cui è da ricordare la stupenda interpretazione di Javier Bardem (Coppa Volpi a Cannes).

E ancora “ Million Dollar Baby” (2004) di Clint Eastwood; film questi, in cui si evincono coraggio e tenerezza non cadendo nel sentimentalismo facile ma portando lo spettatore a guardare in faccia la morte e al rispetto delle scelte. ~

Ho appena illustrato una top four movies che merita una menzione speciale a riguardo, differentemente, ahimé, da questa che potenzialmente poteva rivelarsi una versione/lettura nuova ma che si è rivelata essere l’ennesimo racconto di una storia d’amore, relegando, purtroppo, un tema così delicato qual è l’interruzione assistita della vita, a mero argomento collaterale.

Ora ci poniamo in attesa del sequel “Dopo di te”.

DIOMAIUTO PATRIZIA

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