Ju Tarramutu, L’Aquila due anni dopo il sisma

La manifestazione delle carriole a L’Aquila nel film Ju Tarramutu di Paolo Pisanelli

Ventidue secondi. Tanto durò “Ju Tarramutu”, come lo chiamano gli aquilani. Ventidue interminabili secondi che il 6 aprile 2009 distrussero una città cambiando per sempre la vita di migliaia di persone. Dopo quella tragedia, il silenzio. E poi le parole, tante, troppe. Le passerelle politiche, il G8, le promesse di un miracolo aquilano. E poi ancora una volta, silenzio. Come quello che si ascolta camminando per il centro storico del capoluogo abruzzese che oggi, a due anni dal sisma, è ancora un luogo vuoto, triste, e inaccessibile. Al di là delle barriere, la vita per gli aquilani è ripresa a scorrere. Ma ancora oggi ‘ricostruzione’ è una parola assai lontana dal loro futuro. L’Aquila due anni dopo è una città ancora in bilico tra immobilismo e voglia di rinascere. E adesso tutto questo diventa un film per il cinema.

In concomitanza col secondo anniversario del terremoto dell’Abruzzo, infatti, uscirà in 20 sale Ju Tarramutu, docufilm di Paolo Pisanelli auto-prodotto da Officina Visioni, Big Sur e PMI. In questi due anni tanti e diversi sono gli sguardi posatisi su L’Aquila ferita. Ma a differenza della maggior parte di essi, di quel dramma Ju Tarramutu ci racconta la parte più vera, privilegiando le storie personali della gente comune alla denuncia militante stile Michael Moore (vedi Draquila di Sabina Guzzanti). “Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia”, recita il sottotitolo del film. Per 15 mesi, Paolo Pisanelli ha girato in lungo e in largo L’Aquila e i paesi limitrofi scavando con l’occhio della telecamera nelle esperienze, emozioni e sensazioni di chi ha vissuto sulla pelle il terremoto, seguendo l’evoluzione stessa della città e dei suoi abitanti, dal dramma alla rivolta delle carriole, dallo smarrimento iniziale alla rabbia contro gli sprechi, le speculazioni, e le risate intercettate di imprenditori “sciacalli”, dalla rassegnazione alla voglia di “riprendersi la città”.

Niente interviste ai politici né agli esperti. Pisanelli fa parlare gli aquilani veri, non quelli che fingendo di esserlo, vanno in televisione a tessere le lodi del governo. Lo spazio del film diventa così una sorta di agorà pubblica da cui far alzare forte la voce della gente di L’Aquila, protagonista involontaria del teatrino mediatico messo in piedi sulle macerie della città abruzzese. Perché di questa terra, vittima prima del sisma e poi del cinismo della politica-spettacolo che punta i riflettori sui drammi per ottenere consensi, si è detto e scritto di tutto. Ma mai nessuno si è preoccupato di mostrarci l’altra L’Aquila, non quella vista nei Tg, ma quella che fatica a riprendersi e che si sente abbandonata dalle istituzioni. I problemi, come il documentario di Pisanelli ci mostra, non sono affatto risolti. Gran parte di ciò che è crollato quel maledetto 6 aprile del 2009 non ha un progetto di ricostruzione. E le persone sono ancora disperse tra gli alberghi e quei quartieri dormitorio che sono i progetti C.a.s.e., senza sapere quando potranno far ritorno nelle loro abitazioni. La lentezza di enti e amministrazione impedisce ai cittadini di ripartire. Ma nonostante questo c’è ancora speranza. Di vedere un giorno L’Aquila ferita tornare a volare, ancora più bella di prima.

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