Inchiesta sanità, indagato Formigoni

Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, è indagato per corruzione in concorso con Pierangelo Daccò nell’inchiesta sulla Maugeri

Illecito finanziamento elettorale di oltre mezzo milione di euro nel 2010 da una azienda sanitaria privata in vista della campagna di Roberto Formigoni per le Regionali lombarde, e corruzione per la somma dei molteplici benefit di ingente valore patrimoniale (vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht, cene di pubbliche relazioni a margine del Meeting di Rimini, termini della vendita di una villa in Sardegna a un coinquilino di Formigoni nella comunità laicale dei Memores Domini ) messi a disposizione del governatore lombardo dal mediatore Pierangelo Daccò: sono le due ipotesi di reato per le quali il presidente pdl della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, è indagato a Milano nell’inchiesta sui 70 milioni pagati negli anni a Daccò dalla Fondazione Maugeri per il suo ruolo di «facilitatore» nei rapporti tra questo importante polo privato della sanità italiana (con base a Pavia) e i meandri amministrativi del Pirellone.

«Apriporte in Regione»
È in questi meandri che si esprimeva la peculiare professionalità di Daccò nell’«aprire le porte in Regione Lombardia» e, anche «sfruttando la mia conoscenza personale con Formigoni per accreditarmi presso i miei clienti», muovere «nell’ente pubblico le leve della discrezionalità» cruciali per il riconoscimento agli ospedali delle «funzioni non coperte da tariffe predefinite», cioè del capitolo (pari al 7% del bilancio della sanità per quasi 1 miliardo l’anno) parametrato su attività d’eccellenza e di ricerca in aggiunta ai normali rimborsi delle prestazioni erogate ai pazienti.

Nell’inchiesta, gemmata da quella sul dissesto finanziario del San Raffaele di don Verzè dopo il suicidio nel luglio 2011 del vicepresidente Mario Cal, sono sinora state arrestate (per reati che a vario titolo vanno dall’appropriazione indebita al riciclaggio all’associazione a delinquere) sette persone, tra le quali due amici personali di Formigoni: Daccò, che è in cella dal 15 novembre scorso, e dal 13 aprile un ex assessore regionale democristiano (negli anni 90) poi riconvertitosi in imprenditore immobiliare e consulente nella sanità, il ciellino Antonio Simone.

Nuove contestazioni
Le due inedite contestazioni sono affiorate ora nell’ultimo giro di interrogatori, quando ad almeno quattro degli arrestati è stato via via comunicato che la Procura sta procedendo anche per i nuovi reati di corruzione e di finanziamento illecito. E contrariamente alle suggestioni determinate nei giorni scorsi dalla segretazione dei verbali ordinata dalla Procura, i pochi elementi disponibili fanno pensare che, alla base degli addebiti, vi sia qualcosa di diverso dalla circolata leggenda metropolitana di ammissioni da parte di Daccò e Simone. L’avvocato del mediatore, Giampiero Biancolella, che pur non vuole entrare nel merito dei fatti appunto perché gli ultimi due interrogatori di Daccò sono stati segretati, un solo aspetto ritiene ad esempio di rilevare: «Per quelle che sono le dichiarazioni di Daccò, il reato di corruzione non esiste, però vorrei che a questo punto, dopo oltre 7 mesi di carcere, i pm affrontassero una volta per tutte questo nodo. Se ritengono di possedere elementi per inquadrare nel reato di corruzione i comportamenti che Daccò ha avuto verso l’amico Formigoni, allora chiedano il rinvio a giudizio: ma escano dallo stallo di questa custodia cautelare incongrua e anomala, che neppure nel momento più acuto di Tangentopoli registrava un protrarsi così lungo». «Quello che ha avvicinato Simone a Daccò è stato il fatto che Daccò avesse clienti nella sanità del mondo cattolico», prospetta l’avvocato Giuseppe Lucibello, che dell’interrogatorio del suo assistito tre giorni fa si limita a osservare che «Simone ha spiegato, e anzi ha rivendicato, il proprio ruolo di promotore culturale e grande esperto della legislazione della sanità nel settore del no-profit».

Ancora di recente il presidente della giunta ha ribadito di considerare se stesso e la Regione estranei ad accertamenti giudiziari che a suo avviso riguardano «solo rapporti tra privati» come la Fondazione Maugeri e i consulenti Daccò-Simone, ha asserito che «non un euro di soldi pubblici è stato dissipato», e ha affermato che «Daccò non ha tratto qualche indebito vantaggio da Regione Lombardia per il fatto di conoscermi».

«Neppure un usciere»
All’inizio di questa vicenda Formigoni ha spiegato di aver solo fatto con Daccò «vacanze di gruppo» ai Caraibi, anche se tra «agende da controllare» e «ricevute buttate» dei ventilati rimborsi. In un secondo tempo ha precisato che «non c’era stato bisogno di alcun conguaglio» con l’amico generoso. E infine da ultimo ha detto di aver «potuto accumulare risparmi per un milione di euro che ho prestato a un amico» (Alberto Perego) «per acquistare una casetta in Sardegna», cioè la villa venduta per 3 milioni a Perego da Daccò due settimane prima del suo arresto. «Nessuno di Regione Lombardia è sottoposto a indagine, non un assessore e neppure un usciere», aveva spesso rimarcato Formigoni, anche se in questa inchiesta era stata già indagata per l’ipotesi di riciclaggio la ex dirigente regionale nell’unità organizzativa di Programmazione sanitaria, Alessandra Massei. In un’altra e diversa indagine la settimana scorsa è stato perquisito e indagato per l’ipotesi di associazione a delinquere e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente il direttore generale dell’assessorato regionale alla Sanità, Carlo Lucchina, al quale Formigoni sabato ha voluto rendere «onore» ed esprimere «solidarietà».

Fonte: CORRIERE DELLA SERA.IT

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