Il lento mutarsi ed uniformarsi delle ideologie politiche in Italia: un’informe massa gelatinosa che ogni tanto da qualche segno di vita

“Non voglio mettere pedine, si cambi stile”

“Non voglio mettere pedine, si cambi stile” Matteo Renzi

Non voglio mettere pedine, si cambi stile”. L’altro giorno, Matteo Renzi ha lanciato questa dichiarazione riguardo al governo d’Enrico Letta, senza specificare cosa bisogna cambiare e quale sia il suo “stile”: ricordando sempre che Enrico Letta e Matteo Renzi non solo sono membri del Partito Democratico, ma addirittura della stessa area di partito (in teoria).

Fin troppo spesso le dichiarazioni dei politici italiani assomigliano a queste frasi: ad effetto ma totalmente prive di contenuto, dichiarazioni che servono solo a “fingere” di dare aria nuova.

Una teoria scientifica afferma che i continenti del mondo nacquero uniti, ma presto si divisero ed avvenne la “deriva dei continenti”, allontanando gradualmente le varie aree geografiche: tuttora il fenomeno è in movimento.
I partiti politici, a seguito del dopoguerra, sembrano seguire un fenomeno inverso: dopo un’iniziale separazione si sono man mano uniformati, creando confusione tra gli elettori.

Nel dopoguerra le posizioni politiche erano nette: un centro-destra liberal-conservatrice, un gran centro riformista moderato, un centro-sinistra riformista ed una sinistra socialista/comunista.
Probabilmente fu la fine del centrismo (ossia la serie dei governi della Democrazia Cristiana alleata ai partiti di centro minori) che cominciò a mutare la situazione politica.
Il primo ad uniformarsi fu il Partito Socialista Italiano: passando da una visione ancora marxista, ad una liberale fino ad entrare nei governi e quindi assumere le più negative caratteristiche di un partito al potere (l’immobilismo, la fame di poltrone e l’avidità di fette di potere).
Alla fine degli anni settanta la stessa trafila l’attraversò il Partito Comunista Italiano: la stretta vicinanza con Mosca lo fece presto scavalcare dai più “genuini” movimenti extra-parlamentari, ma fu con la breve permanenza nel governo che s’inaugurò il consociativismo (e quindi la tendenza della falce e martello, ad allearsi con i partiti di centro).
La Democrazia Cristiana abbandonò molto presto le genuine riforme evangeliche di Don Luigi Sturzo e, la divisione in correnti, richiese un immobilismo per conservare il potere.
Gli unici a distinguersi per ideologie diverse furono i medio-piccoli partiti, che tuttora si distinguono dagli altri: purtroppo il loro peso e dipendente dalla massa uniforme.

Negli anni ’70 e ’80, il processo d’uniformità era già terminato (di là di teorie abbozzate da Bettino Craxi sul pensiero di Proudhon), nonostante formalmente i partiti conservassero diverse etichette: fu l’episodio simbolico della caduta del muro di Berlino nel 1989, a dare la definitiva spallata.
Il comunismo mondiale si riformò, scomparendo la paura atavica del partito che “mangia i bambini”: la Democrazia Cristiana smantellò la filosofia del muro anti-sovietico e si scoprì come massa senza ideologie, il Pci si trasformò in Pds e mise in soffitta Marx e Lenin.
L’epoca di “Tangentopoli” parve dare aria nuova: Berlusconi sembrò creare una vera ideologia (spingendo il centro-sinistra a crearne una, a sua volta), che più avanti si trasformò nel dualismo Pd/Pdl, ma fu solo un’ipocrita verniciatura.
L’attuale situazione del governo Letta e, prima ancora, Monti, ha costretto a gettare la maschera ai due grandi partiti: mostrando una massa uniforme di cui non si comprende l’inizio e la fine, di là delle sporadiche dichiarazioni d’entrambe le parti.
Tutt’oggi restano i medio-piccoli partiti a dimostrare forza d’ideologia, con l’eccezione del “Movimento Cinque Stelle” che deve ancora passare la prova del porsi al governo.

Antonio Gargiulo

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