Forza Italia 2 – Il ritorno: la jella del cambiare nome di un partito politico italiano

Tornare al nome originale di un partito politico, in Italia non è mai stato un buon segno

Tornare al nome originale di un partito politico, in Italia non è mai stato un buon segno

Silvio Berlusconi lo ha annunciato ufficialmente: il Popolo Delle Libertà non esiste più e torna Forza Italia.
La celebre scena del predellino si è rilevata una mossa relativamente effimera, durata dal 2007 al 2013, e quindi Berlusconi ha deciso di ridare lustro al glorioso partito.

Durante la storia della politica italiana, molti partiti hanno deciso di riprendere un nome glorioso, sostanzialmente per due motivi: esaltare un’unione e darle lustro, oppure tentare un patetico ritorno alle origini.
Puntualmente ogni reminiscenza si è rivelata un fallimento.

Il primo e unico episodio del periodo antecedente agli anni ’90, accadde nel 1966.
Dopo tanti anni di secessione (dal 1947), il Partito Socialista Italiano e il Partito Socialdemocratico si fusero in un unico movimento: i leader storici, in nome di una rimpatriata, decisero di riprendere il nome del vecchio Partito Socialista (quello nato durante il fascismo) e risorse quindi il Partito Socialista Unificato (P.S.U.).
Purtroppo però la riunione (tanto attesa dagli intellettuali e temuta dalla Dc) cedette nel 1969: causa elezioni politiche miseramente perdute e le insanabili liti tra i membri dei due partiti.

Le successive reminiscenze partitiche accaddero dopo tangentopoli, tentando di riprendersi un’antica verginità.
La devastata Democrazia Cristiana, nel 1994, pensò di avvicinarsi all’antico pensiero di Don Luigi Sturzo: sinceramente riformista e poco avvezzo al “ magna magna” della politica nostrana.
Il partito fu ribattezzato “Partito Popolare Italiano” (glorioso nome del movimento scomparso all’avvento del fascismo): dopo una cocente sconfitta elettorale, nel tentativo di resuscitare l’idea di Dc come perno della politica italiana (ormai trasformata in bipolare), il partito s’“ammalò” ancora di vecchi vizi e si divise in due correnti contrapposte (pro e contro Berlusconi).
La successiva scissione provocò la confluenza del Ppi nella “Margherita” e quindi l’ingloriosa fine.

Gli episodi più patetici o addirittura commoventi, riguardano i piccoli o medi partiti dell’età repubblicana che tentarono di risorgere all’inizio degli anni 2000.
Nel 1994, causa tangentopoli e il conseguente crollo elettorale, si sciolse il glorioso Partito Socialista, spezzettandosi in almeno quattro tronconi: dal 2007 è rinato il Partito Socialista ma, nonostante partito con forti ambizioni, si è arreso davanti ad uno 0,9% alle elezioni del 2008.
Il 1998 segnò la morte del Partito Socialdemocratico, ormai ridotto al lumicino: la classe dirigente puntualmente si sciolse in mille rivoli
Il 2004 ha visto la storica riunione del movimento di Saragat, ma, dopo alcuni successi in seno al centro-sinistra, gli esigui risultati elettorali hanno fatto desistere il glorioso movimento del sole che sorge.
Il Partito Repubblicano Italiano, d’antica fede mazziniana, al contrario non si è mai sciolto: dopo un vago tentativo di navigare in solitario, ha cominciato ad esibire una serie di piccole scissioni, capaci di creare partitini (le consuete correnti sono state più forti del mito di La Malfa e Spadolini).
Il Partito Liberale Italiano, al contrario, ha preferito subito sciogliersi e non ha voluto seguire patetiche operazioni nostalgia.

La rinascita di Forza Italia scaturisce indubbiamente da una volontà di gloria e non certo di patetica riunione: nonostante le cicliche sconfitte elettorali, il centro-destra mantiene ancora una larga fetta d’elettori.
La probabilità però, come si è visto, è contraria al ritorno ad un nome antico: Berlusconi forse è meglio che faccia gli scongiuri, come tempo fa’durante una foto di gruppo internazionale.

Antonio Gargiulo

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