Dai pacchi di pasta agli appalti: come cambia (e come cambierà ora) il voto di scambio politico-mafioso

Un tempo erano scarpe, prima una poi l’altra, pacchi di pasta, conserve di frutta e sacchi di patate. Oggi sono appalti, promesse di finanziamenti pubblici, permessi edilizi. A pagare l’elettore […]

Un tempo erano scarpe, prima una poi l’altra, pacchi di pasta, conserve di frutta e sacchi di patate. Oggi sono appalti, promesse di finanziamenti pubblici, permessi edilizi. A pagare l’elettore ci pensano loro, i mafiosi. 50 euro a voto, ma solo dopo averne portato la prova inconfutabile: la fotografia fatta con il telefonino, per dimostrare di aver barrato la casella giusta.

Il voto di scambio diventa 2.0, si evolve adeguandosi al mondo che cambia, alle esigenze imprenditoriali e alle logiche di mercato. Diventa un giro di soldi amplissimo, e per buona parte inabissato, del quale si stenta a individuare capo e coda. E, ovviamente, dove girano soldi, ci sono le organizzazioni criminali. Mafia, camorra, ‘ndrangheta. Da quando si sono trasformate in vere e proprie holding (manca solo la quotazione in borsa) fiutano affari ovunque, ovunque sono pronte ad investire. Offrendosi come intermediari.

L’evoluzione sì è concretizzata pienamente negli anni ’70 e ’80: una volta era il politico stesso a procurarsi i voti. In cambio regalava, ai singoli cittadini, amici degli amici, posti di lavoro, piccoli favori, qualche mazzetta qua e là; bastavano piccole ricompense, e il gioco era fatto.

Un clientelarismo ingenuo che, a pensarci oggi, dà quasi nostalgia. Poi è arrivata la mafia. Negli anni la situazione si è ribaltata. Se prima erano i criminali a chiedere favori in cambio di voti, adesso è il contrario: sono i politici a bussare alla porta dei mafiosi per chiedere il loro sostegno alle elezioni. Promettendo in cambio ricompense ben più grosse di qualche chilo di pasta.

Il camorrista diventa procacciatore di consensi, ma di quelli ad alto livello, capace di determinare, sfruttando il suo bacino di affiliati, la vittoria o la sconfitta di un candidato politico.

“Procacciare”: una parola che a molti non piace, soprattutto se associata a un’altra, l’avverbio “consapevolmente”, ma che sembra sia l’unico compromesso che i nostri politici sono riusciti a trovare per porre un freno alla pratica del voto di scambio politico-mafioso, un reato in concorso esterno che costituisce uno dei punti di forza della criminalità organizzata.

La Camera ha già detto sì alla modifica del 416ter, la legge che punisce il voto di scambio, che è ora al vaglio del Senato. Una modifica che i magistrati anti-mafia aspettano dal 1992. Da quando, cioè, dopo il tragico epilogo dell’era Falcone e Borsellino, si ritenne necessario varare una legge per bloccare il rinsaldarsi dei legami tra mafie e politica, introducendo il reato di scambio elettorale politico-mafioso: la legge puniva così chi otteneva, da parte delle organizzazioni criminali, la “promessa” di voti in cambio di denaro (e solo denaro, non un altro genere di compensi, come i favori).

Inutile dire che il provvedimento fu un buco nell’acqua: perché il politico sia perseguibile infatti bisogna accertare che ci sia stata, da parte sua, una effettiva erogazione di denaro a favore del mafioso di turno, che in cambio gli ha promesso dei voti. Una circostanza facilmente aggirabile trasformando il compenso dovuto dal politico in altro genere di pagamenti: concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, etc. etc., che di soldi ne fanno fare molti di più, e pure più puliti.

La legge del ’92 tralasciava un dettaglio fondamentale, sottovalutando in questo senso la lungimiranza, l’attitudine progressista, il potere già acquisito dalle mafie: il criminale degli anni ’90 si è già evoluto. Non arriva al business tramite la politica, ma sfrutta la politica per incrementare il suo business. Non ha bisogno di soldi, ma di favori per guadagnare più soldi.

È dalla valutazione di questa circostanza che nasce l’esigenza di una modifica del 416ter:  se il Senato voterà il provvedimento, in sede deliberante, rendendolo quindi immediatamente esecutivo, ad essere perseguibili saranno tutti quei politici che “consapevolemente” “accetteranno” il “procacciamento” di voti. La stessa pena, che prevede una reclusione da 4 a 10 anni (un massimo di 2 anni in meno rispetto alla legge precedente che potrebbe provocare non pochi rinvii per riqualificazione del reato, rischiando di mandare in prescrizione alcuni processi per reati associativi come Cosentino, Ferraro e Fabozzi) verrà applicata anche al “procacciatore”.

Tutto sembra risolto, e invece no. Il “416quater” rischia di essere un nuovo flop. E se le voci a favore di questo provvedimento si sprecano – primo fra tutti il presidente del Senato Pietro Grasso – altrettante sono le polemiche: il restyling del 416ter non piace ai pm e ai giornalisti anti-mafia, uno tra tutti Roberto Saviano, che su Repubblica ha scritto un lungo editoriale in proposito.

Tutto si riduce a una mera questione di terminologia. A creare incomprensioni è ancora una volta il potere confondente e occulto delle parole. Agli oppositori della riforma non piace, come si diceva, il termine “procacciare”, soprattutto se associato a “consapevolmente”: se prima infatti bastava la “promessa” di voti a rendere perseguibile l”eventuale trattativa politico-mafioso, adesso è necessario dimostrare che ci sia stata una effettiva attività di procacciamento, ovvero che si dimostri che il mafioso abbia effettuato una campagna elettorale a favore del politico in questione, e che, in sede di procedimento giudiziario, sia accertata da ambo le parti la “consapevolezza” dello scambio.

Inoltre, il riferimento alle  modalità previste dal terzo comma dell’articolo 416-bis, rende imputabile il procacciamento solo se in maniera intimidatoria o violenta.

Ancora una volta, il potere delle mafie viene scioccamente (o “consapevolmente”?) sottovalutato. Chi ha mai visto un boss fare campagna elettorale fuori dai seggi? O addirittura minacciare gli elettori? Le organizzazioni criminali agiscono in sordina; è ormai lontano il mito (forse non è mai esistito) del mafioso che minaccia l’indifeso cittadino con pistola alla tempia e affini.

Perché loro, i criminali, quelli veri, non hanno bisogno di essere violenti. I consensi se li guadagnano con i sorrisi, mica con le intimidazioni.

G.G

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