Cinema e Shoah, le immagini della memoria

Schindler's List

Schindler’s List è il film per antonomasia sulla Shoah. Uscito nel 1993 ha vinto sette premi Oscar

«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare…». Le parole più sensate sul conservare la memoria  della Shoah sono quelle dello scrittore Primo Levi che ha scontato in prima persona l’essere nato ebreo.  Comprendere significa capire, e capire vuol dire giustificare. Ma non si può capire  perché milioni di persone, ebree e non, sono state sterminate per il semplice fatto di esistere ed essere considerate “indesiderate” dalla società. La soluzione finale è il capitolo più atroce e vergognoso nella storia dell’umanità, e non c’è proprio nessuna logica razionale che può spiegare questa follia. Ma abbiamo il dovere di sapere e ricordare l’aberrazione di cui è stato capace l’essere umano. Senza la memoria non può esserci un futuro. Siamo ciò che, nel bene e nel male, ha scritto la storia e perdere la memoria è un po’ come perdere la propria identità. «Chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo», scrive ancora Levi. Una tragedia di così grandi proporzioni come quella della Shoah probabilmente non si ripeterà più, ma di fronte a un evento che riguarda la storia di milioni di persone, è importante che se ne conservi una traccia.  Da quando, quel 27 gennaio del 1945, l’Armata Rossa varcò i cancelli di Auschwitz scoprendo gli orrori racchiusi nei campi di concentramento, il cinema è diventato il linguaggio privilegiato a cui affidare il ricordo della catastrofe per eccellenza del 20° secolo. Per molti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, però, qualsiasi rappresentazione di finzione dell’Olocausto è stata considerata immorale se non addirittura offensiva. Solo a partire dagli anni ‘90, la Shoah ha smesso di essere un argomento tabù per il cinema e abbiamo assistito ad una escalation, rispetto al passato, nel numero di pellicole dedicate al tema. Di fronte alle lacune dei libri di storia, e alla graduale scomparsa dei testimoni oculari, il cinema ha contribuito a mantenere vivi e a trasmettere episodi della storia di cui altrimenti avremmo solo flebili tracce. Per le generazioni più giovani, come quella di chi scrive, la memoria filmica della persecuzione e del genocidio degli ebrei, si lega inevitabilmente alla pellicola di Steven Spielberg,  Schindler’s List.  Il capolavoro di Spielberg ha consolidato un filone già presente, ma che dopo il 1993 ha assunto quasi i contorni di un genere cinematografico vero e proprio.  Con l’avvicinarsi del Giorno della Memoria, ho scelto perciò di proporvi cinque film,  per me tra più belli e significativi nella vasta filmografia  sulla Shoah. Al di là della contemporaneità storica, la scelta non è stata del tutto casuale: si tratta di film che offrono variazioni stilistiche eterogenee sul tema, ma in cui sostanzialmente l’Olocausto fa da sfondo alla storia straordinaria di uno o più singoli individui, e dove la compassione prevale nettamente su qualsiasi istanza critica delle responsabilità.

SCHINDLER’S LIST
di Steven Spielberg (1993)

Film per antonomasia sulla Shoah, è anche il film più coraggioso di Spielberg, che si riconcilia con le sue origini ebraiche attraverso l’intensa e incredibile parabola di redenzione di Oskar Schindler, cinico e ambizioso industriale tedesco – realmente esistito –  che salvò dalle camere a gas 1100 ebrei. Premiato con 7 Oscar, è un affresco crudo, emotivo e coinvolgente dell’Olocausto, dipinto totalmente in bianco e nero, se non per quell’unica sequenza chiave, quel rosso del cappotto della bimba che conduce lo sguardo di un uomo dentro la tragedia di un popolo.



LA VITA E’ BELLA

di Roberto Benigni (1997)

Se Schindler’s List ci trascina senza censure fin dentro il dramma dell’Olocausto, ne La Vita è Bella Roberto Benigni usa le armi della commedia, scegliendo un registro da favola per proteggere lo spettatore dalla crudeltà di questa tragedia. Lo stesso che nel film Guido, che per preservare l’innocenza del figlio Giosuè, gli fa credere di trovarsi in un gioco, il cui premio sarà un carro armato. Non si ride affatto dell’Olocausto. L’ottimismo ingenuo e disarmante di questo padre, e quel suo grande sacrificio, sono un inno alla vita talmente sincero e appassionato da rendere questo film un capolavoro di sensibilità.

IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE
di Mark Herman – 2008

Bruno e Shmuel sono solo due bambini, l’uno tedesco l’altro ebreo, ancora ignari di odio, razzismo, sterminio di massa. Sono due anime “pure” separate fisicamente da un filo spinato, ma unite da un’amicizia che li condurrà, in un crescendo drammatico, verso la perdita dell’innocenza e la scoperta di quanto sia crudele il mondo che li circonda. Tratto dall’omonimo romanzo di John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe non è una favola dove il bene vince sul male. L’epilogo struggente arriva come un pugno nello stomaco, lasciandoci senza fiato.


TRAIN DE VIE
di Radu Mihaileanu (1998)

Per evitare la deportazione, gli abitanti di un villagio ebraico dell’Europa centrale, allestiscono un convoglio ferroviario, con tanto di finti nazisti e deportati, e partono nel folle tentativo di raggiungere il confine con l’URSS e da lì proseguire per la Palestina. Ci riescono, dopo tragicomiche peripezie condite con grottesco umorismo yiddish e un’allegria trascinante spenta solo nella breve e spiazzante inquadratura finale. Come Benigni, anche Mihaileanu cerca di esorcizzare il male assoluto, offrendone una lettura surreale, paradossale, a tratti comica, ma velata di tanta malinconia.

 

IL PIANISTA
di Roman Polanski (2002)

Come in Schindler’s list, anche ne Il Pianista è la storia intensa del protagonista a raccontarci di riflesso l’insensatezza e la crudeltà della tragedia. Anche qui ci troviamo di fronte ad una storia vera, quella del talentuoso pianista ebreo polacco Wladyslaw Szpilman – egregiamente interpretato da Adrien Brody – che sfuggito alle deportazioni è costretto a una vita fatta di stenti, umiliazioni e sofferenze, la cui unica speranza di sopravvivenza gli è data dalla sua musica. Una vicenda che ricalca, almeno in parte, l’inferno vissuto da bambino dallo stesso Polanksi.

Enrica Raia

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