Ascesa, splendore e crollo del “clan” Petacci: Claretta e la sua famiglia

Clarice Petacci conosciuta come Clara o Claretta è nota per essere stata amante di Benito Mussolini, da lei idolatrato fin dall'infanzia. Era sorella dell'attrice Miria di San Servolo.

Clarice Petacci conosciuta come Clara o Claretta è nota per essere stata amante di Benito Mussolini, da lei idolatrato fin dall’infanzia. Era sorella dell’attrice Miria di San Servolo.

La storia d’amore tra Benito Mussolini e Claretta Petacci è stata sviscerata in mille modi (l’incontro fortuito, l’idolatria di Claretta, gli amplessi a Piazza Venezia, la morte tragica di entrambi) ma raramente si è accennato a quello che era il contorno di questa storia: ossia la famiglia di Claretta, che usufruì totalmente della relazione amorosa della figlia.
La storia del suo amore e della sua famiglia è documentata dalla stessa Claretta: infaticabile grafomane, in grado di trascrivere ogni minimo dialogo che avesse col suo amante.
La famiglia Petacci era composta di cinque elementi: la madre Giuseppina Persichetti, il padre Francesco Saverio, il fratello maggiore Marcello, Claretta e la sorella minore Myriam.
Il padre era un celebre medico e direttore di una clinica a Roma: per lungo tempo fu medico personale dei pontefici.

E’ indubbio che Claretta fosse innamorata di Mussolini ma è altrettanto certo che (fin da subito e dato il suo carattere prorompente) tentò di approfittare della confidenza col Duce, per inoltrare mille raccomandazioni, che il capo del fascismo, inizialmente respingeva o fingeva di non ascoltare: si giustificava parlando della legge che vietava alcuni provvedimenti o semplicemente spiegava come, lui stesso, dovesse dare il buon esempio come capo di stato (in effetti, la sua famiglia e i suoi parenti non avevano mai ottenuto alcuna raccomandazione) e ancora le ricordava il suo “felice” passato da nullatenente.
Il tempo e l’innamoramento gli avrebbero fatto cambiare idea.

La ragazza era fidanzata e promessa sposa al valoroso Tenente Riccardo Federici: il matrimonio fu alquanto breve e la famiglia di Claretta non ebbe alcuno scrupolo (è giusto ricordare che si tratta dei “casti” anni ’30) nel concedere al capo del fascismo, la figlia fresca di matrimonio.
Paradossalmente fu Mussolini stesso ad avere maggiori scrupoli, facendo in modo che il divorzio fosse più “morbido” possibile: il povero Federici (che per altro doveva accettare che la mogliettina incontrasse “ innocentemente” Mussolini) scrisse una lettera al Duce, chiedendo di essere trasferito all’estero, perché “ non si sentiva più in grado di compiere serenamente, il suo dovere di ufficiale”.
Il capo del governo ovviamente accettò e l’ufficiale fu spostato a Tokyo: tornato in patria (alla fine della guerra) si risposò e in silenzio continuò una brillante carriera militare (fino a diventare generale) e morì nel 1972, senza polemiche o memoriali.

Nel frattempo Benito Mussolini, gradualmente perse la testa per Claretta e dovette accettare la cosiddetta “cricca” Petacci, sborsando ingenti quantità di denaro per arricchire la famiglia (il versamento era giustificato come atti di beneficenza, che poi, in parte, realmente Claretta compiva).

A questo proposito ecco la testimonianza di Galeazzo Ciano, attraverso i suoi diari:

“Adelchi Serena (segretaria del partito) dice che attorno al Duce si era formata una banda di tinta petacciana mossa nell’ombra di Guido Buffarini (sottosegretario gli interni) che ogni giorno acquista influenza ed opera in modo sinistro.Buffarini, con la scusa della beneficenza, darebbe duecento mila lire al mese alla Petacci sulla quale poi agisce per i suoi fini.”
“La solita famiglia Petacci interviene a destra, protegge a sinistra, minaccia in alto, intriga in basso e mangia in tutti e quattro i punti cardinali”.

Particolarmente odioso era il fratello Marcello: alto, biondo e di bell’aspetto.
Antipatico in primo luogo era l’atteggiamento: spaccone, sbruffone e montato.
In compagnia della fotomodella Zita Ritossa (da cui ebbe due figli) amava scorazzare per Milano e comprò addirittura un castello a Merano.
Si vantava di avere creare una certa confidenza col Duce, cui spesso pretendeva di elargire consigli politici (“Duce noi dobbiamo parlare spesso e lungamente, perché io voglio vedere il mio Capo specie nei momenti difficili per consigliarlo”), al punto di provocare la stizza di Mussolini e di conseguenza le liti con Claretta (che difendeva il fratello a tal punto che, una volta, si beccò due schiaffi).
Inizialmente disoccupato fu compensato da Mussolini di uno stipendio di cinquecento lire e, in seguito, sfruttò la conoscenza del “cognato” per gettarsi a capofitto negli affari più strampalati, coinvolto nella burocrazia ministeriale: ebbe guai nel 1943, quando tentò di trasportare oro dalla Spagna, attraverso scatole di tonno e sardine.
Di quest’oscuro episodio vi è ancora la testimonianza nei diari di Galeazzo Ciano:

“La questione oro Petacci si è fatta più acuta.Riccardi (ministro delle finanze) ne ha parlato col Duce presso il quale Buffarini (il confidente di Claretta) aveva già messo le mani avanti.Secondo Riccardi, Mussolini è molto indignato dell’accaduto e ha dato ordini di procedere contro i colpevoli a termini di legge senza riguardi e senza pietà per nessuno.Secondo Buffarini, invece, se l’è presa con Riccardi per avere scandalizzato su una questione che meritava un trattamento riservato e diverso.A complicare la situazione, si è aggiunto il famigerato Dottor Petacci, che è uscito dall’ombra per indirizzare a Buffarini, a Riccardi e allo stesso Duce una violenta lettera nel quale reclama per se il “merito fascista e nazionale dell’operazione” e copre di male parole coloro che lo stanno ostacolando.La cosa non può andare a finire serenamente. Sarà interessante vedere chi ne uscirà con le ossa rotte.”

Vi era poi l’ultima sorella, Myriam (affettuosamente adorata da Mussolini, perché “complice” del suo amore verso Claretta), altrettanto carina, che fu spinta dalla madre verso il mondo dello spettacolo: dopo un fallimentare tentativo teatrale, si cimentò come attrice (il film più importante fu “Le vie del cuore” del 1942) e come costumista.
Grazie al successo de “Le vie del cuore”, partecipò al “Festival del cinema di Venezia”, ove fu oggetto di derisione a causa del nome d’arte scelto: Miria di San Servolo, ricordava fin troppo il manicomio di Venezia (San Servolo, appunto).
Alla ragazza fu imposto anche un fastoso matrimonio con Armando Boggiano, figlio di un ricco imprenditore lombardo.
La vera amministratrice del clan, era la madre: Giuseppina Persichetti, presto detta “Donna Giuseppina”.
Terziaria dell’ordine delle Clarisse (da li il nome della figlia), sfruttava un’aria pia e misericordiosa, per intortare l’ateo Mussolini, colpito da tale religiosità: aveva sempre un rosario tra le mani che puntualmente sgranava.

Fu grazie alla continua insistenza di “Donna Giuseppina” che la famiglia Petacci raggiunse il gradino più alto: l’acquisto (nel 1939) di una sontuosa villa a Monte Mario, detta “La Camilluccia”, e di conseguenza l’abbandono del media borghese abitazione di via Spallanzani (curiosamente attigua a Villa Torlonia, ove Mussolini abitava con la famiglia).
La madre contrasse un mutuo di trecentocinquanta mila lire con la Banca Nazionale del Lavoro: è curioso notare che il prezzo fu sotto la cifra d’acquisto (settecentocinquanta mila lire), facile pensare che il resto del denaro fosse stato elargito da Mussolini stesso; volendo avere un’idea dei prezzi di allora, è giusto ricordare che il Signor Bonaventura (beniamino del “Corriere dei Piccoli”), alla fine di ogni avventura, guadagnava l’incredibile somma di un milione di lire.
I permessi dal comune arrivarono molto velocemente: addirittura, volendo evitare a Claretta il percorrere di strade tortuose, fu creata un’apposita scorciatoia che tagliava di netto la collina (e c’è tuttora); “Donna Giuseppina” seguì personalmente i lavori: con piglio militaresco e il rosario perennemente tra le dita.
Una villa stupenda, simbolo della grande architettura italiana: trentadue locali, due piani, un sottosuolo e un bellissimo parco, piscina, campo da tennis, orto e pollaio.
Una guardia presidenziale addirittura sorvegliava la villa, alla cui ala destra vigeva la persona dependance, alcova di Benito e Claretta: pareti e soffitto ricoperti da specchi e il bagno rivestito di marmo nero, con una grande vasca mosaicata (a filo del pavimento) che voleva ricordare i tempi dell’antica Roma.

La prima vera crepa di questa gabbia dorata avvenne alla caduta del fascismo, dopo il 25 luglio 1943: la stampa fu in grado di esprimersi liberamente sulla relazione sentimentale tra Claretta e Mussolini, accennando anche alle ricchezze che erano riusciti a impossessarsi la sua famiglia.
A seguito delle rivelazioni a situazione precipitò e, nel timore di violenze popolari (che in realtà avvennero solo dopo), la famiglia decise di lasciare Roma: eccetto Marcello, l’intero clan decise di proseguire fino a Meina (in provincia di Novara, ove si trovava la villa del marito di Myriam).Il 12 agosto i carabinieri si presentarono alla villa con un mandato di arresto per i Petacci.
La motivazione della cattura dell’intero nucleo famigliare, appariva insensata (“appropriazione indebita aggravata”) se non per un motivo banale (un acquisto di tappeti per la “Camilluccia”, non pagati del tutto a causa della fuga precipitosa): la sensazione era che si accampasse una scusa per colpire l’intera famiglia (curiosamente la persona che chiedeva credito era Ugo Montagna, famoso nel dopoguerra per il “Caso Montesi”).
Il clan Petacci dovette quindi passare dalle “stelle alle stalle”: prima di entrare in cella fu loro tolto ogni oggetto personale (tra cui alcune lettere del Duce, che Donna Giuseppina aveva clamorosamente nascosto nelle mutande), furono chiusi in celle fetide (tre metri per tre, muri pregnanti di umidità, letti a castello e un maleodorante bagno alla turca attiguo al letto), tale che la mania grafomane di Claretta dovette sfogarsi sui rotoli di carta igienica.
Furono liberati il 18 settembre dal fratello Marcello (a sua volta imprigionato assieme al cognato) e tutti assieme si rifugiarono, prima al castello di Merano e poi a “Villa Fiordaliso”, sul lago di Garda durante la Repubblica di Salò.
La situazione fascista era profondamente mutata: Mussolini era l’ombra di se stesso e i nazisti controllavano ogni suo movimento, addirittura i rapporti con la famiglia Petacci erano regolati da uno strano personaggio giapponese, Shichiro Ono.
Il breve periodo di prigionia e il cambio di potere in Italia, non frenò la famiglia Petacci dalle pretese d’ambizione: i genitori si erano placati ma Marcello insisteva (andava a trovare spesso Mussolini, spesso per raccomandare qualcuno, al punto che il Duce parlava di “visite-revolver”, oppure proponeva idee strampalate, come creare benzina senza petrolio) e anche Myriam era insaziabile nell’eterna voglia di sfondare nello spettacolo (pretendeva l’aiuto di Goebbeles, esperto nazista in cinematografia).
L’arrendevolezza e la bontà di Mussolini parvero terminare quando, esasperato, ordinò a Eugenio Apollonio (vice capo della polizia di Salò) di rispedire forzatamente i Petacci nel loro castello di Merano: la decisione provocò la ribellione della famiglia e la furia di Claretta; si andò a miti consigli e Claretta fu l’unica a restare a Salò.
Vista ormai la presenza di truppe nemiche sempre più vicine al nord, Mussolini decise di fuggire: prima però chiese a Claretta di rifugiarsi in Spagna con la famiglia e quindi salvarsi; lei non accettò e così suo fratello (probabilmente nell’intento di rifarsi una vita altrove), mentre il resto della famiglia partì il 22 aprile 1945 per Barcellona.

La comitiva si diresse a Como, fuggendo verso il confine, ma (com’è risaputo) fu bloccata a Dongo dai partigiani.
La colpa di tutto questo è ascrivibile a Marcello Petacci: tipico del suo carattere spaccone, percorreva le strade comasche (in automobile con lui c’era sua sorella) strombazzando per chiedere passaggio e quindi catturando l’attenzione dei partigiani.
Alla cattura tentò di spacciarsi per un diplomatico spagnolo (esibendo un documento falso e gridando frasi come “non sapete chi sono io”) ma durante l’interrogatorio non seppe rispondere a una domanda in lingua, ammutolì e la sua famosa sicurezza sparì: scambiato per Vittorio Mussolini, fu portato davanti al plotone di esecuzione ma neppure i fascisti lo vollero tra le proprie file; approfittando di un attimo di confusione tentò vilmente di fuggire e si tuffò a nuoto nel lago, venendo però freddato da una sventagliata di mitra, davanti agli occhi disperati della sua famiglia.
Una fine ingloriosa per un uomo superbo, a differenza della morta eroica di sua sorella Claretta.
Sul resto della famiglia calò improvvisamente il dimenticatoio: Giuseppina Persichetti morì nel 1962, Francesco Saverio Petacci la seguì nel 1970 e infine Myriam (dopo fugaci comparsate come attrice e costumista) morì nel 1991 a soli sessantasette anni, sola e abbandonata da tutti.

La storia appena raccontata può rappresentare un simbolo dell’Italia passata e moderna.
Di là di ogni recriminazione è sempre da elogiare il puro sentimento di Claretta Petacci, tale da sacrificarsi per il suo amore.
Notevole è il suo carattere caparbio e ambizioso, simile alla sua famiglia: familismo, ambizione e raccomandazione, tuttora affliggono la società italiana.
In questa situazione colpisce infine il comportamento di Benito Mussolini: sostanzialmente arrendevole e soggiogabile (come lo fu poi con Hitler) ma nello stesso tempo buono d’animo, come non sempre è dipinto e come il capo dei nazisti non fu mai.

Riproduzione Riservata ®

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
Ti piace questo articolo? Condividilo: