La guerra dell’acqua

L'acqua non è un lussoDa quando la Corte Costituzionale ha stabilito che sarà la cittadinanza, tramite referendum, a pronunciarsi sulla questione della privatizzazione dell’acqua, l’argomento è tornato ad impegnare la politica e gli italiani tutti. Alcune settimane fa, infatti, sono stati approvati dalla Corte Costituzionale due dei tre quesiti referendari proposti dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua che mirano ad abrogare le Leggi su cui si fonda la privatizzazione. Tra pochi mesi – non c’è ancora una data definitiva – la cittadinanza sarà chiamata a decidere in merito alle norme che rendono concreto l’ingresso dei privati nella gestione dell’acqua, sancendo il passaggio al settore privato della gestione di servizi pubblici al cittadino, dichiarati “di rilevanza economica”.

Il processo di privatizzazione dell’acqua è iniziato molto tempo fa, nel lontano 1994, con la Legge Galli (36/1994), che istituì gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) ai quali, in merito alla gestione del servizio idrico, fu data facoltà di aprire i bandi di gara per la distribuzione anche a società private. Successivamente il decreto legislativo n.156/2006, conosciuto come “Codice dell’ambiente”, stabilì che la gestione del ciclo delle acque fosse affidata esclusivamente a Società per Azioni a capitale misto (pubblico-privato) o a capitale interamente pubblico. Attualmente tali società sottostanno alla cosiddetta gestione “in economia”, che implica che non debba essere tratto alcun profitto dalla distribuzione dell’acqua: la nostra bolletta, dunque, non rende utili, ma mira a coprire esclusivamente i costi del servizio di erogazione. Oggi è il Decreto Legislativo 133/2008, che dichiara l’acqua un bene economico e prevede, a partire da dicembre 2011, l’affidamento del servizio a privati o società a capitale misto possedute per il 40% da privati, che porterebbe realmente a compimento il processo di privatizzazione del servizio idrico. Il referendum cui la cittadinanza è chiamata a partecipare propone, pertanto, l’abrogazione di parte delle norme suddette: l’articolo 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, nonché l’articolo 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

Nel settembre 2007 l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dichiara che l’acqua è diritto inalienabile di tutti gli esseri umani e che, in quanto tale, l’accesso ad essa vada garantito senza alcuna discriminazione: “È ormai tempo di considerare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all’accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico – per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa – allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute. Gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all’uso personale e domestico dell’acqua al di sopra di ogni altro uso e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questa quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno la possa raccogliere ad una distanza ragionevole dalla propria casa”. La realtà è, tuttavia, ben più complessa: attualmente circa il 18% della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua potabile e si calcola che quando, nel 2020, la popolazione sulla Terra sfiorerà gli 8 miliardi, circa 3 miliardi di persone rischieranno di non poterne usufruire pienamente. Oggi, dunque, imporre alla cittadinanza una gestione del servizio idrico fondata sulle leggi del libero mercato concorrenziale e del profitto – cui ogni azienda privata è necessariamente sottoposta – significa rischiare che gli interessi economici di pochi prevalgano su quelli della comunità. In termini più concreti la privatizzazione rischia di tradursi in un rincaro sulle bollette, rendendo l’accesso all’acqua più oneroso e meno “praticabile” per i cittadini, e l’acqua stessa non diritto universale da tutelare e garantire a tutti gli esseri umani, ma merce grazie alla quale produrre lauti guadagni – tanto da scatenare una vera e propria “corsa all’oro blu”. Come ha scritto Luis Infanti della Mora di Aysén nella sua lettera pastorale “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana”: “La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria  sociale: gli esclusi. Alcune multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura, e soprattutto dell’acqua, possono essere legalmente padroni di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietari di un bene dal quale dipende la vita dell’umanità. E’ un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare.”

La scelta del referendum è rischiosa – il quorum di validità da raggiungere è ampio (25mila votanti) – ma ciò che conta è che la scelta spetterà ai cittadini, ai quali deve essere restituito il potere decisionale alla base della democrazia. “I cittadini si sono appropriati del diritto di esprimersi sui beni comuni – hanno commentato Alberto Lucarelli e Ugo Mattei, tra i redattori dei quesiti referendari, dopo la decisione della Corte Costituzionale – sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali. Si è dato così significato e dignità all’art.1 della Costituzione Italiana, ovvero al principio che assegna al popolo la sovranità in una stagione di tragedia della democrazia rappresentativa”. Del resto sul tema della privatizzazione dell’acqua la rete di cittadini è attiva e già ben organizzata, tanto da aver reso possibile il referendum stesso tramite la proposta dei quesiti referendari alla Corte Costituzionale, accompagnata da una raccolta firme a favore della ripubblicizzazione dell’acqua, che ha fruttato ben un milione e quattrocentomila adesioni. Questa stessa rete si è ora mobilitata per la campagna di sensibilizzazione in vista del referendum per completare il processo che mira a restituire alla popolazione un diritto che rischia di essere mercificato e sfruttato per il profitto di pochi.

Nonostante la gestione pubblica sia stata, in questi anni, a dir poco fallimentare, i cittadini impegnati nella lotta per l’acqua pubblica auspicano ad un miglioramento dell’offerta di tale servizio dall’ente preposto, lo Stato appunto, affinché incida positivamente sulla qualità della distribuzione e si ponga come un’alternativa finalmente valida alla gestione tramite privati. Insomma, per dirla con Luca Martinelli – tra i principali fautori del Movimento per l’Acqua e autore del libro “L’acqua è una merce” – “L’acqua è un bene comune. Privatizzarne la gestione vuol dire mercificare un diritto. Ma un diritto non si vende, semmai si tutela. Se il mercato vuol farci pagare l’acqua, come fosse un prodotto qualsiasi, noi rispondiamo: l’acqua è già nostra, l’acqua è di tutti noi”.

Sara Di Somma

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